• mercoledì , 27 Novembre 2024

I motivi per cui non voterò per l’autorizzazione all’arresto di Papa

Tra poche ore sarò chiamato ad esprimere un voto sulla proposta di arresto di Alfonso Papa, un collega appartenente al mio stesso gruppo (prima della sua autosospensione) che conosco appena e con il quale, in questi tre anni di legislatura, credo di aver scambiato soltanto qualche parola di cortesia e qualche cenno di saluto. A leggere ciò che di lui hanno scritto i giornali mi sono fatto l’idea che anche nel suo caso la macchina mediatica-giudiziaria abbia versato – attraverso l’abuso di intercettazioni illegittime – il solito brodo di coltura scandalistico e diffamatorio della personalità di chi è preso di mira, in cui sguazzano, spesso con una reale difficoltà di distinzione, comportamenti disdicevoli (ben presto accertati) insieme ad ipotesi di reato (da accertare).
I comportamenti di Papa sono lontani dal mio modo di intendere l’attività politica e anche la stessa vita. Ma, dopo lunga riflessione, ha deciso che non voterò l’autorizzazione all’arresto. Per motivi di diritto, innanzi tutto. L’articolo 68 della Costituzione (anche nella revisione operata nel 1993 in piena Tangentopoli) è chiaro in proposito. Le conversazioni di Alfonso Papa non potevano essere intercettate “in qualsiasi forma” senza autorizzazione della Camera. Quanto all’arresto, esso è dovuto soltanto in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna ovvero se il deputato è colto in flagranza di un delitto per il quale è stabilito l’arresto obbligatorio. Negli altri casi occorre – appunto – l’autorizzazione della Camera. Ma perché Papa dovrebbe essere arrestato?
Non basterebbe proseguire nel procedimento concludendo le indagini e chiedendo il rinvio a giudizio come accade normalmente con i comuni imputati, che non siano ritenuti in grado di ripetere il reato o, come si dice di Papa, di inquinare le prove? No. La realtà è un’altra. La richiesta di arresto di un deputato costituisce una fase nuova dell’escalation giudiziaria contro la politica (è un eufemismo, perché nel mirino c’è il centrodestra). Corre sempre più insistente la voce che sono pronte altre richieste di arresto, secondo la solita tattica (possiamo parlare di metodo Boffo?): per giorni e giorni si forniscono ai quotidiani spezzoni di conversazioni rubate che vengono assunti come prove inequivocabili delle nefandezze.
Così si celebra il processo sulle pagine dei giornali e nei talk show televisivi, mettendo come primo obiettivo in cattiva luce, nei confronti dell’opinione pubblica, la persona nel mirino. Gli orologi di marca, le auto di grossa cilindrata, i pingui conti in banca, le abitazioni divengono la prova di un tenore di vita lussuoso necessariamente acquisito con mezzi illeciti. Le famiglie stanno facendo dei sacrifici. Raccontare loro che quegli uomini politici che impongono queste restrizioni, in realtà conducono vite da nababbi determina atteggiamenti di rivalsa e di ostilità. Certo i parlamentari dispongono di una condizione più che dignitosa e benestante, ingigantita dalle solite leggende metropolitane. Inoltre, l’arroganza del potere di certi uomini politici può lasciare stupefatti, alla stregua della loro capacità di millantare credito. Ma come si fa a non vedere l’inconsistenza di certi teoremi?
Può lasciare di stucco che un personaggio come Bisignani avesse la possibilità di conversare o di ricevere telefonate da autorevoli ministri dell’attuale Governo. Ma dove sta la fattispecie di reato in quelle conversazioni che commentano incontri, fatti politici che sono sotto gli occhi di tutti ? Eppure il terreno è già preparato. Quelli che voteranno contro l’arresto saranno indicati come gli appartenenti alla “casta”, perché la sentenza di condanna di Papa è già stata decisa. Stiamo tornando a riscrivere le pagine più infami dei primi anni ’90. Ricordo ancora la sorte toccata, per esempio, a Francesco De Lorenzo, allora ministro della Sanità. Gli piovvero addosso accuse tra le più infamanti: incarcerato, processato, alla fine è stato poi condannato soltanto per la violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti. La prima volta che venne richiesta l’autorizzazione all’arresto fu respinta. Il presidente della Repubblica Scalfaro dichiarò pubblicamente che era stato tentato di sciogliere la Camera colpevole di quel voto.
Il rischio che si corre oggi è che il mondo della politica, sentendosi sotto tiro di un’opinione pubblica vogliosa di Piazzali Loreto, pensi di cavarsela gettando qualche testa alle tante “tricoteuses” sedute davanti al patibolo. La classe politica non è di grande qualità e di apprezzabile spessore. Ma il dibattito sui “costi della politica” – che finisce sempre per fare i conti in tasca ai parlamentari – è penoso per l’incapacità di reazione da parte degli stessi interessati. Ma veramente crediamo che, all’estero, i parlamentari siano pagati alla stregua degli impiegati del catasto, come una certa opinione pubblica vorrebbe fare da noi? E che dire dei trattamenti dei giornalisti che non lasciano trascorrere un solo giorno senza evocare lo ‘scandalo’ dell’assegno vitalizio?
Quando all’ex direttore di un grande quotidiano venne offerta la presidenza della Rai, l’incarico venne rifiutato per l’eccessiva differenza di reddito tra i due ruoli (naturalmente tutto a favore della carta stampata). Esiste un solo giornale – di quelli che mettono il naso dappertutto – che abbia pubblicato un articolo in cui si parlava dei trattamenti economici e normativi dei giornalisti di “vecchio conio”? Quanti sanno che in questa legislatura il Parlamento ha votato una norma che ha consentito il prepensionamento di parecchie decine di “grandi firme” dei più importanti quotidiani, mandati in pensione a spese nostre e poi riassunti subito dopo con contratti di collaborazione?
Tornando alle sfide di questa settimana, il monito è ancora una volta quello di resistere ad una magistratura che persegue un disegno di destabilizzazione del quadro politico (a proposito, che fine ha fatto anche lo scandalo delle scommesse del calcio?). Ma deve trovare la strada della autodisciplina e della capacità di allontanare da sé non solo i corrotti, ma anche i faccendieri e coloro che non dimostrano quella sobrietà richiesta a chi rappresenta la nazione.

Fonte: Occidentale del 18 luglio 2011

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