I partiti facciano pulizia interna senza attendere la magistratura. La sfida della presidente PdRacconta Rosy Bindi di essere stata avvicinata da un signore educato, con moglie e figli, al supermercato: “Buongiorno onorevole, ma quando ce lo levate di torno?”. Non c’è bisogno di spiegare a chi si riferisse con quel “lo” un elettore (che poi si è qualificato “di destra”). “L’elettorato”, dice la presidente dell’assemblea nazionale del Pd e vicepresidente della Camera in questa intervista a “l’Espresso”, “sta ritrovando il buon senso. Però corriamo un rischio: che non creda che qualcuno lo sappia interpretare, questo buon senso. Riemerge il “siete tutti uguali” e vedo che qualcuno sta lavorando alacremente perché ciò avvenga. Mi preoccupa che i giornali berlusconiani siano dediti alla causa della moralizzazione della Casta. Perché questa è davvero l’ultima occasione che tutti, non solo il Pd, abbiamo per interpretare la linea del buon senso”.
Siamo tornati al 1994? Alla disapprovazione generalizzata per la politica?
“Nel 1994 una parte della classe politica reagì a quel clima. Ma abbiamo visto come è andata a finire: le elezioni le vinse Silvio Berlusconi. Che era un prodotto di Tangentopoli e si presentava, invece, come la novità. Risultato: l’Italia non ricorda un periodo di decadenza economica, civile e morale paragonabile agli anni della Seconda Repubblica”.
E adesso? Il Pd si è saputo differenziare?
“Noi non siamo stati sufficientemente forti da impedire che il sentimento dell’antipolitica si diffondesse di nuovo. Se il risultato del malcontento è “siete tutti uguali”, si indebolisce non solo il Pd ma la vita democratica. Non a caso l’istituzione più presa di mira è il Parlamento. E ora si pensa che approvare una manovra di finanza pubblica da 90 miliardi sia una prova di efficienza. Ma dove finisce la dialettica maggioranza-opposizione? La possibilità di emendare, di correggere, di migliorare? Così si indebolisce la democrazia”.
Allora vuol spiegare perché non siete uguali? Parli di voi più che di loro…
“Ha scritto bene il nostro segretario Pier Luigi Bersani sul “Corriere della Sera”: noi non siamo antropologicamente diversi. E’ la nostra concezione della politica che ci rende diversi. Io non mi sento superiore, ma diversa sì. Il Pdl nasce e si regge sul conflitto d’interessi, tiene 60 indagati in Parlamento, nega l’autorizzazione a persone sospettate di reati gravissimi, come Nicola Cosentino, Alfonso Papa e Marco Milanese, ha due ministri che non sanno chi paga loro la casa o un affitto mensile pari al reddito annuo di un pensionato o di un precario. E non è un dettaglio che se qualcuno di noi è sottoposto a un procedimento giudiziario distingue la propria posizione da quella del partito. Come ha fatto Filippo Penati, che si è autosospeso come prevede il nostro codice etico. E meno male che Alberto Tedesco si è dimesso dal Pd, visto che gli altri passi indietro annunciati non li ha fatti”.
In giro però non c’è la percezione che ci sia tutta questa differenza tra una parte politica e l’altra.
“Si deve migliorare. E possiamo raccogliere la sfida del “siamo diversi”. Noi facciamo politica perché abbiamo a cuore il bene del Paese, non perseguiamo interessi personali, non ci sono collusioni con poteri impropri. La politica deve essere autorevole e libera per governare tutti gli interessi e interpretare il cambiamento”.
Non pensa che quello della politica sia diventato un mestiere che fa gola? Stipendio fisso di lusso, vantaggi di ogni tipo e magari qualche entrata extra…
“Sì, in Italia c’è troppa classe dirigente. Non solo politico-amministrativa, ma anche nel sindacato per esempio. Anche il mondo delle imprese mostra squilibri notevoli: come si fa ad accettare che un manager pubblico o privato guadagni 500 volte lo stipendio di un operaio?”.
Quindi?
“I primi passi per la moralizzazione sono la razionalizzazione della classe dirigente e la riforma della legge elettorale. Partiamo pure dai parlamentari, ma non basta. Non so se riusciremo a modificare la legge elettorale ma almeno riduciamo il numero a 450 deputati e 200 senatori con una legge di iniziativa congiunta. E poi interveniamo sul governo locale, riorganizzando la miriade di livelli territoriali”.
Chi sbaglia va cacciato via
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