• venerdì , 18 Ottobre 2024

“Contro la crisi lavoriamo di più”

Giuliano Amato, premier del ’92, dà la sua ricetta per uscire dalla tempesta di oggi. Governo commissariato? L’Europa serve a questo. Berlusconi a casa? Non fino a che non si aggiustano i conti pubblici. L’Italia ce la può fare? Sì, con un impegno maggiore e se necessario, con una patrimoniale.Adesso che le trombe della cavalleria europea hanno fatto sentire i loro squilli sui mercati finanziari l’Italia, ma anche la Spagna, il Belgio e persino la Francia, possono tirare un respiro di sollievo: la Banca centrale europea difenderà, con le sue potenti munizioni, i titoli di Stato dei Paesi in difficoltà. A patto che l’impegno dei governi a mettere in ordine i conti pubblici sia sostenuto da azioni concrete e tempestive, in grado di convincere gli investitori che i debiti saranno onorati fino all’ultimo centesimo.
Il tracollo sembra evitato, almeno per ora. Ai tentennamenti del governo, sanzionati dal mercato con un aumento dello spread sui titoli tedeschi fino a 400 punti base (ovvero il premio richiesto per tenere in portafoglio titoli di Stato italiani ha raggiunto il 4 per cento), ha rimediato il fronte composto da Angela Merkel e da Nicolas Sarkozy, per conto dei due maggiori Paesi dell’area dell’euro, e da Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea. Con un messaggio chiaro a Silvio Berlusconi e alla sua maggioranza: “Avrete il sostegno della Bce, ma dovrete dimostrare di essere in grado di procedere rapidamente all’aggiustamento dei conti pubblici e di avviare le riforme necessarie per rilanciare la crescita”.
E lo spread è tornato sotto i 300 punti. “Quello che volevamo si è realizzato”, commenta Giuliano Amato, che è stato due volte presidente del consiglio e che nel 1992 a Palazzo Chigi visse la crisi più drammatica dell’Italia del dopoguerra. “Certo, non ci basta: dobbiamo tornare ai livelli a cui eravamo prima della crisi (meno di 150 punti base, ndr.). Ma è comunque meglio avere la febbre a 38 o a 39 che a 41”.
Dunque i mercati sono stati avvertiti: c’è un cordone sanitario intorno all’Italia e la speculazione non passerà, non si può permettere che il terzo debito pubblico del mondo (in valore assoluto) sia considerato a rischio; nello stesso tempo non si può permettere che il governo, dopo l’attacco dell’ultimo mese, si barcameni tra annunci, correzioni, cifre confuse e soprattutto con il rinvio alla prossima legislatura delle misure più incisive.
Giuliano Amato “Terrei conto di un fatto”, spiega Amato: “In agosto il mercato è “sottilissimo”, cioè si fanno poche operazioni. La liquidità si ritira come la gente si rifugia sotto l’ombrellone. Bastano pochi ordini consistenti per muovere significativamente i prezzi. E questo spiega i picchi più recenti. Le ondate di vendita erano precedenti. Lo spread stava salendo da qualche settimana perché i fondi d’investimento e le banche internazionali avevano fatto le loro valutazioni sulle dimensioni dei debiti, sulla quantità di emissioni necessarie per rinnovarli, sull’affidabilità politica dei governi. E avevano messo in fila gli emittenti tra cui l’Italia, con il terzo debito del mondo e con una crescita così bassa da non offrire alcuna garanzia sulla capacità di ripagare un debito tanto grosso. E’ in luglio che lo spread arriva a 300 punti: da allora è bastato pochissimo per aggravare la situazione”.
Ma chi sono questi famelici speculatori in grado di mettere alle corde interi Paesi? Quali sono i loro veri obiettivi quando travolgono qualsiasi argine tanto che non si capisce più dove possano far confluire l’enorme mole di denaro che muovono? “Io non osservo i mercati cercando le fauci del mostro”, risponde Amato, “il loro comportamento è frutto di uno smarrimento. Si sono ritrovati senza punti di riferimento politici ed è subentrata l’incertezza prima, il panico poi. Solo in una seconda fase si insinuano i ribassisti”. Ovvero gli speculatori al ribasso che vendono titoli a una certa data nella speranza di poterli acquistare a prezzo più basso prima della consegna. “E poi”, aggiunge Amato, “c’è una significativa differenza rispetto al 1992 quando la speculazione attaccò il Sistema monetario europeo: allora l’offensiva era organizzata e il finanziere George Soros confessò in seguito di aver pilotato l’assalto alla sterlina che precedette quello alla lira”.
Dunque questa volta non c’è un Grande Vecchio che tira le fila della speculazione. Sono i mercati che hanno perso la bussola di fronte a equilibri politici sempre più traballanti. “E’ così”, continua Amato, “sono situazioni dominate dall’irrazionalità, un tipico caso di fallimento del mercato che non ha in sé gli antidoti necessari per contrastare l’irrazionalità, il panico. Quegli antidoti dovrebbe metterceli lo Stato che però nell’era della globalizzazione è diventato un’entità complessa, non solo nazionale. E il mercato si muove tra segnali malcerti. Basta pensare a che cosa è successo negli Stati Uniti dove ci si sta facendo solo del male: con il deficit al 9 per cento del Pil non si possono rinviare le misure di contenimento. Non è il modo di convincere i mercati: così arriva il declassamento del rating e si finisce nelle mani dei Tea party”.
L’esito della tempesta finanziaria non è solo economico. In Italia, per esempio, l’intervento della cavalleria europea potrebbe avere delle conseguenze politiche. Il Partito democratico e gli altri partiti di opposizione di sinistra chiedono le dimissioni del governo, giudicato debole e inadeguato, tanto più dopo il “commissariamento” imposto dall’asse Merkel-Sarkozy-Trichet. “Pier Luigi Bersani e l’opposizione fanno la loro parte a chiedere le dimissioni”, commenta Amato, “ma si deve confidare nell’esistente quando si è in una buriana simile che non consente intertempi”. Insomma, non ci possiamo permettere il lusso di un cambio di governo in un momento così delicato: si rischia di creare altra incertezza, di prestare il fianco ad altri attacchi. La stessa opinione è stata espressa pochi giorni fa dall’ex-presidente del consiglio Romano Prodi.
Amato non tiene in gran conto neanche la questione del commissariamento: “Diffido degli argomenti nazionalisti. Facciamo parte dell’Eurozona? Ci lamentiamo perché ci pesa troppo o non ci pesa abbastanza addosso? Non è possibile che chi emette titoli utilizzando una valuta comune (come l’Italia con l’euro, ndr.) sia lasciato solo, senza che le autorità che governano quella valuta attestino qualcosa, la loro presenza se non altro. Se vogliamo mantenere l’euro non possiamo lasciare un Paese a se stesso. La valuta comune presuppone certi standard. Direi che la condizionalità è naturale per restare insieme”. Quindi, è giusto e doveroso intervenire a sostegno del Paese in difficoltà, ma è altrettanto giustificato, da parte dell’Europa, pretendere il rispetto di determinate condizioni. Forse però è anche un problema di forma. “Forse”, aggiunge Amato, “sarebbe stato meglio se domenica 7 agosto, anziché diramare un comunicato firmato dalla Merkel e da Sarkozy, si fosse riunito l’Eurogruppo e avesse affidato al ministro italiano, una volta tornato in patria, l’annuncio dell’esito della riunione. Ma quella attuale è una fase incerta”.
In fondo è il risultato che conta. Tanto più se si pensa a quello che ci aspetta nei prossimi mesi. Da agosto a dicembre il Tesoro dovrà rinnovare 158 miliardi di titoli di Stato in scadenza (di cui 82 a lungo termine, cioè Btp e Cct soprattutto) e finanziare il fabbisogno del periodo. Nei prossimi 12 mesi i titoli da rinnovare saranno addirittura 325 miliardi (di cui 197 a lungo termine). Se le tensioni sui mercati costringessero il Tesoro a finanziarsi alle condizioni di questi giorni sarebbe la catastrofe. “Eh sì”, ammette Amato, “finora la tempesta ha prodotto danni simbolici: qualche risparmiatore che ha dovuto liquidare i suoi titoli perché costretto da un’urgenza. Il danno diventerebbe rilevante se le prossime emissioni non avvenissero sulla base dei “fondamentali” dell’economia italiana, che meritano un diverso apprezzamento, ma sulla base dei tassi di mercato di questi giorni”. Già, perché a quel punto il Tesoro dovrebbe collocare i suoi Btp decennali non al 4 per cento, come in giugno, ma al 6 se non al 7 per cento (i rendimenti che si ottengono comprando titoli già in circolazione sul mercato secondario). Gli interessi da pagare sarebbero più alti (circa 15 miliardi per ogni punto percentuale in più), il deficit aumenterebbe e per raggiungere il pareggio di bilancio sarebbero necessarie misure ancora più dure.
Senza contare che l’aumento dei tassi d’interesse alla fine si estenderebbe a tutta l’economia. “Comprese le banche”, aggiunge Amato, “che dopo le massicce ricapitalizzazioni si ritroverebbero con una leva bonsai alla quale si applica quello spread”. Ovvero, in concreto, l’Italia andrebbe verso una fase di restrizione del credito e un conseguente rallentamento dell’economia. Proprio l’opposto di quello che ci serve: una bella dose di crescita.
Bisogna dunque fare tutto quanto è necessario per evitare questo scenario: anticipare il pareggio di bilancio e approvare le misure per la crescita sollecitate nella lettera che Trichet e il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, già designato come successore di Trichet, hanno inviato a Berlusconi. Ma ce la farà un governo così sfilacciato e indebolito? E basteranno questi provvedimenti a tirare l’Italia fuori dalle secche? “Io penso”, risponde Amato, “che abbiamo un potenziale non utilizzato molto forte. Lavoriamo meno di quanto potremmo. Se riusciamo a guardarci in faccia, e a dire: “Facciamo tutto quello che siamo capaci di vendere”, perbacco, sì che ce la facciamo a uscire da questo stallo. Se poi non bastasse…”. Secondo l’ex-presidente del consiglio un rimedio ci sarebbe. “Io non ho lo spirito di Dracula”, conclude Amato, “tuttavia rilevo che l’Italia produce il 3 per cento del Pil mondiale ma ha il 5,7 per cento della ricchezza mondiale. Rilevo anche che più del 40 per cento di quella ricchezza è appannaggio del 10 per cento dei cittadini più ricchi”.
Un modo un po’ complicato per dire che si può attingere dal patrimonio dei contribuenti più abbienti per ridurre il debito pubblico. La sua proposta ha trovato consensi (e dissensi) a sinistra e a destra. Di sicuro ha fatto e farà ancora discutere. Anche perché, una volta presa la decisione politica, non sarebbe così semplice “disegnare” un’imposta equa, semplice ed efficiente.

Fonte: Espresso 11 agosto 2011

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