• venerdì , 22 Novembre 2024

Passi avanti arrivati in ritardo

Forse i dati di ieri sull’economia tedesca che rallenta il passo hanno aiutato Berlino a capire che nell’area euro siamo tutti sulla stessa barca. Il vertice a Parigi fra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel annuncia novità importanti che, come è ormai la regola in Europa, sarebbero state ottime un paio di mesi prima, quando avrebbero risparmiato molti guai e parecchi sacrifici. Speriamo che bastino, annunciate ora. Un governo economico per l’area euro è appunto quello che ci voleva già da tempo; se ci fosse stato, con regole e procedure precise, l’Italia avrebbe risparmiato l’umiliazione della settimana scorsa.
Ieri era una buona occasione per cominciare a correggere gli errori che il duo franco-tedesco ha commesso a partire dal disgraziato vertice di Deauville nell’ottobre dell’anno scorso; e anche di colmare le insufficienze e le ambiguità del vertice europeo del 21 luglio. Alcune delle conseguenze negative di quegli sbagli purtroppo non si possono più disfare; altre sì.
La nomina di un presidente politico dell’area euro è un mezzo passo rispetto a soluzioni più complete e meglio legittimate democraticamente, che ripugnano soprattutto ai Paesi più forti. Mostra il fallimento di quel «metodo intergovernativo» (Europa retta soprattutto da rapporti diretti tra i governi, non da istituzioni centrali) di cui anche Giulio Tremonti era stato un entusiasta.
Non si uscirà dalle attuali difficoltà dell’euro senza un meccanismo più efficace per impedire che gli Stati violino il Patto di stabilità. Le sanzioni «quasi automatiche» chieste a suo tempo dalla Banca centrale europea, e ieri di nuovo dal primo ministro olandese, sarebbero state la strada maestra per ridurre l’incertezza dei mercati finanziari. Alle sanzioni «quasi automatiche» Sarkozy convinse la Merkel a rinunciare, appunto a Deauville, perché le temeva per la Francia. L’Italia annuì, perché sperava di trarne vantaggio a sua volta.
E’ dubbio se possa ottenere lo stesso effetto l’insieme di un «mister euro» politico e di una regola costituzionale del pareggio in ogni Stato membro. Tendere entro pochi anni verso i bilanci in pareggio era la regola chiave del Patto di stabilità dell’euro prima versione; fu sospesa da Germania e Francia d’accordo nel 2003, auspice la presidenza di turno italiana. Se il nuovo meccanismo un po’ raffazzonato di governo economico comune funzionerà, si potrebbe aprire la strada ai titoli di debito comuni per l’area euro (gli eurobonds). Prima no, qui hanno ragione i tedeschi, perché ci sarebbe il rischio di incentivare comportamenti irresponsabili dei singoli Stati.
A sorpresa poi compare una tassa sulle transazioni finanziarie, simile a quella che un tempo era cara ai movimenti no-global e si chiamava Tobin tax. Sarebbe ottima se si riuscisse a farla funzionare; perché quanti più Paesi non vi aderiranno (e la Gran Bretagna non ne ha alcuna intenzione) tanto più saranno danneggiati, in perdita di affari, quelli che la adottano. Che Sarkozy e Merkel abbiano ritenuto di tirarla fuori rivela l’altro dei due colossali errori di Deauville e del 21 luglio scorso. Il «coinvolgimento del settore privato» nelle crisi debitorie, reclamato dalla Germania con l’obiettivo di far pagare alle banche una parte del conto, adottato per la sola Grecia, come prevedeva la Bce ha danneggiato i Paesi deboli senza togliere il sorriso ai banchieri.
Intanto anche in Germania la crescita rallenta: tra le «due velocità» a cui si temeva viaggiasse l’Europa si scopre che non c’è tanta differenza. Impressiona soprattutto la revisione all’indietro dei dati del Pil: nemmeno la Germania è ancora ritornata ai livelli di prima della crisi. Però è meglio mantenere la calma: l’economia tedesca resta solida pur se avverte il rallentamento in corso nel mondo; non è affatto escluso che a sostenerla nei prossimi mesi, invece dell’export, sia la domanda interna, come gli altri europei già si auguravano.

Fonte: La Sampa del 17 agosto 2011

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