Quello del 1929 non è più soltanto uno spettro: arriva un periodo di tagli ai consumi che toccherà anche le (ex) classi medie. Dai vestiti ai viaggi, dall’istruzione alla salute, così la recessione cambierà la nostra vita.
Grande recessione o grande contrazione? Stiamo vivendo solo una crisi dura ma passeggera, oppure il modello di vita occidentale uscirà cambiato dal tonfo dell’economia? Mentre trionfano i profeti del “double dip”, cioè di un andamento della recessione che gli esperti definiscono a “W”, per cui non appena sembrava che il peggio fosse passato, ecco un’altra caduta grave quanto la prima, le famiglie non hanno di che gioire.
Sebbene all’estero ci dipingano come “più perplessi che ansiosi” di fronte a un’economia stagnante e agli scivoloni della Borsa (è successo sul quotidiano “International Herald Tribune”), la percezione che si stia entrando in una nuova era di austerity è già viva in questa estate di scarse vacanze e spese all’osso.
Per le famiglie si tratta di riscrivere da capo i propri budget, e mettere su nuovi binari e con nuove priorità le risorse, prosciugate dalle tasse e dalla caduta del potere d’acquisto per via dell’inflazione. E, come se non bastasse, ulteriormente limate da spese che prima non c’erano. “Chi non può evadere le imposte, o approfittare della leva del prezzo come fanno i commercianti, ha già dovuto ridurre i propri consumi”, ragiona Emilio Barucci, docente al Politecnico di Milano. Che nei tempi che verranno vede molte ombre: “Se si vuole fare i duri e puri, e pensare solo al risanamento dei conti, qui si rischia di strozzare l’economia”.
Per capire perché, è utile un confronto con quanto accaduto nel 2008. Visti con gli occhi di oggi, gli italiani di tre anni fa vivevano una vita da privilegiati, almeno a giudicare dal carrello della spesa. Nel 2007, l’anno prima del fallimento della banca d’affari Lehman Brothers, i consumi delle famiglie avevano toccato la cifra record di 765 miliardi di euro. Mai come allora si era speso così tanto in alberghi, ristoranti, telefonate, automobili, macchine fotografiche, computer e quant’altro.
Da allora la situazione è cambiata. La crisi s’è mangiata 600 mila posti di lavoro. Le vendite di auto continuano a crollare. Quelle di sigarette pure, e non sarà solo per la salute. Sono diminuiti addirittura i consumi di generi alimentari: non era accaduto nemmeno ai tempi della svalutazione della lira.
Se c’è un lato preoccupante della stretta da 45,5 miliardi che le autorità europee hanno imposto al governo di Silvio Berlusconi, è che coglie gli italiani in un momento duro. Tre anni fa l’immagine di un popolo che vive al di sopra dei propri mezzi poteva essere più calzante. Eppure già allora i nodi stavano venendo al pettine. La spesa pubblica era insostenibile. Le pensioni assorbivano gran parte della spesa sociale, lasciando scoperte molte persone bisognose. I redditi delle famiglie erano sempre più bassi e le tasse si mangiavano una fetta insopportabile degli stipendi. Insomma, a vivere alla grande era una quota decrescente di persone, a parte i ricchi di famiglia o gli evasori. I risparmi accumulati in decenni, magari grazie al lavoro di genitori e nonni, permettevano comunque a molti di mantenere un certo benessere.
Oggi, la situazione è radicalmente mutata.
Tanti italiani è ormai da tre anni che hanno iniziato a tirare la cinghia. E ora rischiano di ritrovarsi più deboli che mai a fronteggiare la stretta. Per prevedere la loro reazione, si può guardare cos’è accaduto dal 2008.
La recessione ha infatti cambiato i modi di vivere di una schiera di persone che Domenico Secondulfo, responsabile dell’osservatorio sui consumi creato dall’Università di Verona e dalla Swg, quantifica nel 30 per cento circa della popolazione. “Sono consumatori che hanno riorganizzato il loro modo di comprare e che nella spesa di tutti i giorni hanno adottato comportamenti restrittivi”, spiega.
La sintesi è quella dei numeri Istat riportati qui sopra. Si spende meno in abbigliamento, in oggetti per la casa, in nuove auto e così via. Si risparmia al supermercato, e i negozi specializzati sono off-limits per molti. “Nell’ultimo anno una piccola parte di questi consumatori aveva imparato a gestire le ristrettezze e aveva ripreso a spendere un pò di più”, dice Secondulfo. Che vede però nuovi rischi dall’austerity: “Chi non ha avuto problemi è solo il 26 per cento dei consumatori. Quasi la metà, invece, appartiene a una categoria intermedia, che ha cercato finora di difendere il tenore di vita, magari intaccando i risparmi. Se la situazione peggiora, sarà più difficile riuscirci”.
Il tarlo che rode la società italiana come l’hanno conosciuta i 40-50enni di oggi è, dunque, l’impoverimento dei ceti medi. “La forbice tra ricchi e poveri può allargarsi ancora: a diminuire sono le persone che, senza essere ricche, possono permettersi senza pensarci troppo un viaggio, una cena fuori o un cambio di guardaroba”, dice Mario Ferraresi, che insegna sociologia dei consumi allo Iulm di Milano. Il grido di dolore di Berlusconi, quel suo “cuore che gronda di sangue per aver messo le mani nelle tasche degli italiani”, copre dunque il fatto che la stagione del disastro dei conti lascerà in eredità una specie di trappola. La logica universalistica che il sistema italiano garantiva nella scuola, nella sanità, nell’assistenza per tutti, andrà ulteriormente in crisi. “Le risorse non sono più sufficienti a dare tutto a tutti, soprattutto perché la popolazione invecchia e aumenta i suoi bisogni”, dice Emilio Barucci. Da una parte, per raddrizzare la rotta, si andrà verso meccanismi di compartecipazione alla spesa, come la maggiorazione dei ticket. Dall’altra, questo avverrà senza ridurre le tasse, che quei servizi per tutti dovrebbero pagare.
Roberto Perotti, economista della Bocconi, la vede così: “Abbiamo regalato a tutti pensioni e sanità, poi ci siamo resi conto che non si riusciva a finanziarli”. Fatto sta che oggi che la coperta si scopre corta, e lascia al freddo le famiglie con meno difese. “E’ vero che una parte delle risorse raccolte con le imposte prende la via del risanamento dei conti e non dei servizi”, afferma Alberto Zanardi, professore di scienza delle finanze a Bologna, “ma di certo il governo di centro-destra sembra credere meno a un sistema delle imposte che faccia redistribuzione: in ciò che paghiamo per i servizi pubblici, è sempre più ridotta la componente fiscale, e sempre più alta quella tariffaria. E questo comporta un carico maggiore per i redditi più bassi”.
Da un altro punto di vista la vede Perotti: “C’è una bella differenza tra ciclo economico, che è senz’altro negativo, e tendenza: la tendenza è più importante e non c’è alcuna evidenza che il reddito stia andando giù rispetto agli anni Ottanta”. Questo non vuol dire che gli interventi sul sistema non debbano essere radicali. E che, se ben fatti, non possano avere conseguenze positive: “La sanità? Se è gratis i servizi varranno usati più del necessario; i ticket contengono i costi e danno efficienza.
Le pensioni? Io e Luigi Zingales abbiamo proposto che vengano tagliate subito quelle non commisurate ai contributi versati. L’università? E’ l’investimento più importante della vita: perché regalarlo ai ricchi? Tenendo le rette basse come sono ora, facciamo pagare ai poveri quelle dei più benestanti. Infine: tagliamo i 7-8 miliardi con cui si finanziano le imprese. Servono solo ad alimentare una mentalità anti-imprenditoriale, e la corruzione”. Idee che, al momento, appartengono a un altro pianeta.
Autunno:sarà austerity dura
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