“Per anni mi hanno dipinto come un vampiro, promettendo di abbassare le tasse. Invece hanno portato il Paese allo sfascio senza capire niente di quello che stava succedendo. E ancora adesso vanno a tentoni”. L’ex ministro Vincenzo Visco si toglie qualche sassolino dalle scarpe
L’hanno fatta franca un’altra volta. Gli evasori fiscali, una categoria che sembra esistere solo nelle statistiche, non parteciperanno al grande sforzo di solidarietà cui gli italiani sono chiamati dal governo Berlusconi per salvare la Patria. Solo pochi di loro, in prevalenza notai e farmacisti, cadranno nella trappola del contributo straordinario (5 per cento del reddito dichiarato tra 90 mila e 150 mila euro e 10 per cento oltre i 150 mila euro). Per il resto niente di nuovo sotto al sole: professionisti, commercianti e artigiani possono continuare a godersela come prima.
Ma perché? Possibile che non ci sia nulla da fare per ribaltare questa situazione? “I ricchi non devono pagare le tasse e i loro elettori nemmeno: quelli del centrodestra hanno prosperato in questi anni diffondendo questa certezza. Quindi niente lotta all’evasione, salvo parlarne e far finta di prendere misure quando la situazione è precipitata”. La risposta viene da Vincenzo Visco, ministro delle Finanze nei governi del centrosinistra, bersaglio preferito delle campagne elettorali del Pdl e della Lega. Raffigurato come un Dracula assetato del sangue dei contribuenti, è stato utilizzato per avvalorare lo slogan che a “mettere le mani nelle tasche degli italiani” erano sempre e comunque gli ex-comunisti con i loro alleati. Mentre Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Giulio Tremonti non avrebbero mai e poi mai osato aumentare l’oppressione del fisco sui loro concittadini.
“Eh sì”, continua Visco, “per dieci anni hanno propagandato questa visione idilliaco-liberista: lasciamo che la gente faccia quello che vuole, in tutti i sensi, così l’economia cresce e il peso del deficit e del debito si riduce. Ma non è andata come credevano. Per il semplice fatto che non avevano capito nulla. In particolare non avevano capito che stavamo vivendo un passaggio epocale, con l’avvento della globalizzazione. Bisognava reagire. Come hanno fatto i tedeschi all’inizio del secolo, rivedendo il mercato del lavoro e riformando i meccanismi del bilancio pubblico in modo da mettere in ordine i conti. Da noi invece il governo si è dedicato con grande impegno a rompere l’unità sindacale: e c’è riuscito grazie al formidabile autolesionismo dei sindacati. Risultato? Un pantano totale”.
Eppure, di fronte alla “sfiducia” dei mercati, alla moral suasion del presidente Giorgio Napolitano, ai pressanti inviti ad agire della Banca centrale europea e della Banca d’Italia, alle ruvide sollecitazioni dei partner europei Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, Berlusconi, sia pure con “il cuore che grondava sangue”, è intervenuto. “Quando la situazione diventa difficile”, commenta Visco, “le menzogne, gli imbrogli, le mistificazioni che per anni sono state propinate da Berlusconi, da Bossi e dagli altri non tengono più. Come si dice, le chiacchiere stanno a zero: i conti vanno aggiustati. E allora o si tagliano voci di spesa che fanno male come l’assegno di accompagnamento, le pensioni di reversibilità e quelle di anzianità, o si mettono delle imposte. Non si scappa. C’è poi l’aggravante che nel 2001 questa maggioranza ha ereditato un Paese in crescita (3,6 per cento nel 2000 e 1,8 nel 2001), con un surplus al netto degli interessi di 5-6 punti. E che cosa hanno fatto? Hanno mollato la presa sul bilancio: prima la scusa dell’attentato alle Torri Gemelle che avrebbe frenato l’economia, poi un paio di tornate di contratti del pubblico impiego molto generose, infine i pasticci delle cartolarizzazioni. E il quadro si è ribaltato. Per il semplice fatto, ripeto, che non avevano alcuna consapevolezza della situazione dell’economia italiana”.
A onor del vero, Berlusconi e il suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti non sono stati neanche fortunati: la crisi del 2008 gli è piovuta addosso appena sono arrivati al governo. “Anche allora”, continua Visco, “non si sono resi conto che la crisi si sarebbe manifestata a tappe: la finanza, l’economia reale, cioè le imprese e la recessione, e infine i debiti sovrani. Con un debito pubblico elevato come il nostro, avere un deficit annuo inferiore a quello degli altri non è risolutivo. E’ un errore di analisi. E infatti siamo arrivati sull’orlo del disastro”.
Resta il fatto che il governo ha reagito, con una manovra che colpisce duro con quel contributo straordinario che ricorda l’eurotassa del governo Prodi (1996) istituita per far parte da subito della comunità della moneta unica. “E’ solo una scimmiottatura dell’eurotassa”, ribatte Visco, “che colpisce il lavoro dipendente ad alto reddito e un po’ di professionisti che lavorano con la ritenuta d’acconto. Ma noi coinvolgemmo anche le imprese, adottammo una serie di misure per entrare nell’euro. E poi ne restituimmo una buona parte. Allora, poi, lo sforzo avrebbe prodotto, e infatti produsse, un risultato formidabile: lo sgravio degli interessi sul debito. Potendo emettere titoli ai tassi dell’euro ottenemmo un consistente e durature beneficio. Ma oggi è sbagliata l’analisi di partenza: servono misure strutturali”.
Per esempio? “Quelle contenute nella manovra alternativa del Pd”, risponde Visco, “in particolare un’imposta sugli immobili calcolata sui valori di mercato, fortemente progressiva, e una riduzione dei contributi sociali finanziata dal taglio delle agevolazioni alle imprese. E ancora un prelievo una tantum sui capitali “scudati”, cioè fatti rientrare dall’estero, da utilizzare soprattutto per rimborsare i debiti dello Stato verso le imprese. Ma questi interventi vanno a colpire i grandi proprietari, i ceti medio-alti: questo governo non li può fare”. Sono state suggerite altre possibilità: la manovra dell’Iva, per esempio. “Le alternative sono anche peggio”, obietta Visco, “l’aumento dell’Iva lo pagano i consumatori e quindi sarebbe una manovra regressiva. Trovo ridicolo che i sindacati la sostengano. Mentre mi consola che questo governo abbia scoperto che i redditi da capitale devono pagare di più e che persino Berlusconi parli male dell’evasione”.
E a proposito di evasione nulla più del contributo straordinario poteva riaprire la piaga dello storico divario tra lavoro dipendente e lavoro autonomo agli occhi del fisco. Nemmeno il centrosinistra è mai riuscito a fare progressi significativi in questo senso. “Bisogna soltanto decidere se gli autonomi devono pagare le tasse oppure no”, ammette Visco, “non è mai stato esplicito, nemmeno ai nostri tempi. Questa idea che se pagano le tasse le piccole imprese falliscono è una balla: sarebbe come aumentare la concorrenza. E poi se tutti pagano, scendono le aliquote. Altrimenti bisogna essere coerenti e concentrare i benefici della spesa pubblica sul lavoro dipendente: asili, scuole, sanità e via dicendo. Ma così si divide in due il Paese, con tutto quello che ne consegue.
Aggiungo che qualsiasi ipotesi di ristrutturazione del sistema fiscale è oggi resa più complicata dagli errori commessi in questi anni. Come l’Imu, l’imposta municipale unica, che è distorsiva perché pesa sulle seconde case e sulle imprese, sempre in ossequio allo slogan che la prima casa non si tocca”.
Quindi è una partita persa in partenza? “No, anche se in Parlamento ci sono interessi che contano molto di più che nel Paese”, osserva Visco. “Se si decide di affrontare l’evasione bisogna partire dalla tracciabilità dei pagamenti, dall’elenco clienti-fornitori e dall’obbligo di allegare una descrizione del patrimonio alla dichiarazione dei redditi, compresi i saldi bancari. Del resto il segreto bancario già oggi non esiste più in caso di accertamento: in questo modo la segnalazione diventerebbe automatica. E con le tecnologie informatiche si trova tutto di tutti. Però serve la volontà politica”.
“La verità? Sono dei dilettanti”
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