Scriviamo queste poche note con l’ animo schiacciato dall’ ansia, ma con la speranza che tutto si concluda, nel migliore dei modi, nelle prossime ore, forse già nella notte. Quattro giornalisti italiani, Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera , Domenico Quirico della Stampa e Claudio Monici di Avvenire sono stati sequestrati da una banda che poi li ha consegnati a miliziani lealisti di Gheddafi. L’ autista che guidava la vettura sulla quale tentavano di raggiungere Tripoli è stato barbaramente ucciso. I giornalisti sono stati malmenati e derubati. Temiamo per la loro vita, anche se le prime valutazioni delle autorità che seguono il caso ci inducono a un moderato ottimismo. Non riusciamo però a trattenere il pensiero che va ai tanti episodi del passato in cui gli operatori dell’ informazione, anche del Corriere , hanno pagato un alto prezzo al loro senso del dovere. Come altri, militari e volontari. Troppi. Le notizie sono scarne e contraddittorie. Il ministero degli Esteri, la cui unità di crisi si è prontamente attivata, ritiene che il sequestro si possa risolvere in breve, come quello dei colleghi stranieri tenuti in ostaggio per cinque giorni all’ hotel Rixos di Tripoli e rilasciati nel momento in cui le sorti della guerra civile libica sono apparse irrimediabilmente segnate. Ma l’ esperienza insegna, in Afghanistan come in Iraq, che questi sono i momenti peggiori di una guerra. Gli schieramenti si sfaldano in rivoli in cui la paura alimenta una violenza cieca; si aggregano bande a caccia di ostaggi ridotti alla stregua di salvacondotti o merce di scambio; la vendetta e lo sciacallaggio sono le sole regole rimaste intatte fra corpi abbandonati e macerie. In questo scenario inquietante, i giornalisti sono al tempo stesso i bersagli più facili da colpire e gli ostaggi più utili da esibire. Ma i nostri colleghi sono armati solo degli strumenti della loro professione. E soprattutto sono mossi dalla passione di scoprire e raccontare la realtà dei fatti. Forse questo, più del loro passaporto occidentale, li espone a ogni sorta di pericolo. Non vestono alcuna divisa. Sono testimoni preziosi, non combattenti. Ascoltano le voci degli altri. Tutte. Anche dei nemici del loro Paese, sul quale non esitano a scrivere verità scomode. L’ informazione è l’ architrave di ogni democrazia. Schiacciando la libertà di stampa non si costruisce nulla. Se non regimi, come quello di Gheddafi, destinati a implodere per averla troppo a lungo negata. E la primavera araba ne ha un bisogno vitale. I giornalisti sono stati e sono soprattutto messaggeri di pace. Perché senza di loro, il dialogo fra le parti, fra etnie e religioni diverse, sarebbe semplicemente impossibile. Assicurano in condizioni estreme un servizio civile tra i più alti. La speranza in ore di grande apprensione è che i sequestratori possano leggere ciò che scriviamo sui giornali, guardare le immagini trasmesse in queste ore, scorrere le notizie sul web. E interrogare le loro coscienze, ritrovare quel senso di umanità che fa parte della storia delle loro genti. Siamo sicuri che guarderebbero con occhi diversi Elisabetta, Giuseppe, Domenico e Claudio che di ostile non hanno nulla e di amichevole tutto. Forse l’ hanno già fatto, noi lo speriamo con tutto il cuore.
Fonte: Corriere della Sera del 25 agosto 2011Guardateli negli occhi
L'autore: Ferruccio De Bortoli
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