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Crescita, il governo deve rifare i conti

Un bene per l’Italia che i banchieri di Francoforte ci tengano sulla corda.
Ho come l’impressione che dovremo essere grati al tedesco Juergen Stark. Le sue dimissioni dal board della Bce, pur essendo chiaramente in polemica contro la scelta di Trichet, avallata da Draghi, di comprare titoli dei paesi europei in difficoltà, e quindi anche contro l’Italia, finiranno inevitabilmente per indurre l’eurobanca ad una maggiore prudenza nel mettere mano al portafoglio, e questo ci costringerà, sotto la pressione degli spread in rialzo, ad assumerci maggiormente le nostre responsabilità e a praticare in modo più serio il rigore. Pena una crisi in salsa ellenica che precipiterebbe il Paese nel caos. Sia chiaro, non sto auspicando il “tanto peggio, tanto meglio”. Ma siccome è acclarato che i cedimenti politici sulla manovra sono iniziati quando, grazie ai massici acquisti di Btp da parte della Bce, lo spread con i bund tedeschi è tornato sotto quota 300 punti, il fatto che i banchieri di Francoforte ci tengano sulla corda non può che essere positivo. Anche perché domani, appena il decreto d’emergenza sarà approvato anche dalla Camera, sarà opportuno metterci, senza barare, a rifare i conti. Non solo perché quasi il 40% della manovra (20 miliardi su 54) riguarda i tagli alle agevolazioni fiscali che sono rimandati a quella delega fiscale che è ancora tutta da definire. E non solo perché con i tassi d’interesse al 5,5% e oltre bisognerà ricalcolare il peso degli oneri passivi, che a fine anno rischiano di sfondare quota 100 miliardi. Ma anche e soprattutto andranno rifatti i conti alla luce dell’andamento dell’economia. L’Istat ci ha detto che a metà anno avevamo accumulato un incremento del pil dello 0,7%, e se ha ragione l’Ocse nel prevedere che nel terzo e quarto trimestre la crescita sarà zero (o meglio, rispettivamente -0,1% e +0,1%), tale è destinato a rimanere. Quanto al 2012, l’Fmi ha appena aggiornato, in peggio, le sue previsioni: faremo solo mezzo punto percentuale, ed è già meglio del +0,3%-0,4% che invece stimano gli analisti delle principali banche italiane. Ma questo significa che nel 2011 il pil sarà cresciuto del 36% in meno di quanto previsto dal governo (0,7% anziché 1,1%), e l’anno prossimo addirittura del 61% in meno (0,5% anziché 1,3%) rispetto a quanto c’è scritto nel documento programmatico (Def) su cui tra l’altro la Ue ha valutato la nostra politica economica. E siccome sia il deficit sia il debito sono calcolati non in valore assoluto ma in rapporto al pil, ecco che la stagnazione in cui siamo caduti – alla faccia di chi diceva che era disfattismo pessimistico giudicare enfatiche quelle previsioni di crescita, scritte non più tardi di giugno – ci deve costringere a mettere mano alla calcolatrice. Tra l’altro, se non lo faremo nostra sponte, ci costringeranno a farlo in Europa, e in particolare quelli che si sono ormai auto-assegnati il ruolo di nostri “commissari”. Tanto più dovrà essere rigorosa la Bce, sia perché la pressione tedesca aumenterà sia perché Draghi, una volta entrato in carica a novembre, non potrà che mostrarsi inflessibile nei confronti del suo Paese. Certo, si potrà obiettare che questa è la conseguenza delle mancate iniziative di rilancio dello sviluppo. Vero, ma è anche vero che, come certificano Ocse e Fmi, è l’intera economia occidentale ad avere frenato. E questo rende assai improbabile che per noi, da anni fanalino di coda, cambi lo scenario. Ecco perché bisogna subito rifare i conti.

Fonte: Il Messaggero 11 settembre 2011

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