• sabato , 23 Novembre 2024

Voltiamo pagina con una nuova classe dirigente

Confindustria si attivi e faccia nascere il “partito che non c’è”
Non regge l’accusa di “tradimento” rivolta da esponenti del centro-destra, anche in modo greve da parte dei leghisti, nei confronti di Emma Marcegaglia e dell’intera Confindustria. Ingrati? Semmai saranno loro ad esserlo, se si lamentano di una componente sociale a cui eventualmente si dovrebbe rimproverare – come il sottoscritto ha fatto a suo tempo – di aver fin troppo fiancheggiato l’attuale esecutivo, con rinnovati atti di fiducia che poggiavano esclusivamente sul vecchio principio di Gianni Agnelli secondo cui la Fiat e la Confindustria sono governativi per definizione. E poi questa reazione (tardiva) contro una (non) politica economica che ha esposto il Paese al “pericolo greco”, corrisponde allo stato d’animo degli imprenditori – leggetevi le dichiarazioni di alcuni del Nord notoriamente moderati per capire quanto siano preoccupati, delusi, sfiduciati, incavolati – e dunque la Confindustria altro non poteva fare che esprimerne gli umori.
Ciò che invece risulta fragile nella “linea dura” di Marcegaglia è la proposta, che tra l’altro la espone, questa volta con qualche ragione, all’accusa di apparire come “un soggetto politico di opposizione”. Non parlo ovviamente dei “5 punti”, sulla carta tutti condivisibili (si tratta poi di vedere come si declinano) e per nulla nuovi. Ma del troppo (l’ultimatum) e del poco o niente (le indicazioni su come costruire la Terza Repubblica) di cui i “5 punti” sono circondati. Perché una cosa è chiara, e immagino sia chiara anche nella testa del presidente di Confindustria: non esiste alcuna possibilità che quelle cose vengano fatte ora, di colpo, visto che sono trascorsi inutilmente due decenni. La verità e che le grandi riforme strutturali, perché di questo si tratta, non possono essere realizzate da un sistema politico malfunzionante. E nelle difficoltà odierne, come in quelle che sotto altri profili hanno seppellito il governo Prodi e con esso il centro-sinistra, c’è soprattutto il fallimento del bipolarismo all’italiana e del sistema maggioritario che la stessa Confindustria prima ha fortemente voluto e sostenuto – basti pensare al referendum Segni – e poi difeso anche quando i ciechi ne vedevano la crisi. Ora, con il Paese che rischia il default, siamo alla fine (ingloriosa) della Seconda Repubblica. E voltar pagina non significa tornare ad alternare due coalizioni che, seppur per motivi diversi, hanno entrambe ugualmente dimostrato di non essere in grado di governare. Dunque, perché la sua azione associativa generi risultati, la Confindustria deve evitare la fase (sterile) della sfiducia gridata, magari corredata di inevitabili punte di qualunquismo, e andare subito a quella (costruttiva) della proposta di come gettare le basi della Terza Repubblica, la più urgente delle tante infrastrutture di cui pure abbisogniamo. Come? Consapevoli che non è più tempo di deleghe in bianco, alimentando l’emergere di una nuova classe dirigente. Per la borghesia produttiva è venuto il momento di ritrovare finalmente il senso del proprio ruolo: assumersi la responsabilità di salvare il Paese dal declino. Bisogna che nasca il “partito che non c’è”, e non può essere di questo o di quel personaggio, ma per avere successo – dopo l’insuccesso politico del partito personale di Berlusconi – deve nascere per iniziativa della società civile. La Confindustria faccia proposte, si attivi. Subito.

Fonte: Messaggero del 26 settembre 2011

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