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Quel “Big Bang” che può far crescere l’Italia a costo zero

Sarebbe futile tentare di prevedere cosa conterrà il Decreto sviluppo in materia di liberalizzazione, l’unica via per la crescita che non comporta oneri per la finanza pubblica. Secondo una ricerca della Banca d’Italia – il “Temi di Discussione” n. 706 – il mark-up e/o la rendita di posizione per i pochi fortunati che ne traggono protezioni e, quindi, vantaggi è un freno tale allo sviluppo che, ove venisse rimosso, ne risulterebbe nell’arco di un quinquennio una crescita del Pil dell’11% circa, dei consumi del 7,7% e degli investimenti del 18%. L’incremento del benessere, misurato in unità di consumo reali, sarebbe del 3,5% e dei salari reali del 12%.
A convalidare le analisi dei ricercatori nostrani di Palazzo Koch ci sono quelle del resto d’Europa. La regolamentazione per dare vita (e far funzionare) il mercato unico europeo ammonta a 150.000 pagine – ancora più carta è stata necessaria per la moneta unica e ammennicoli vari; il costo dei regolamenti Ue su cittadini e imprese è variamente stimato tra l’1% e il 3,5% – un vero ed elevato costo di transazione – del Pil complessivo dell’Europa a 27; lo documenta Alan Hardacre in un saggio pubblicato dall’Eipa (l’Istituto europeo di formazione per la pubblica amministrazione, un ente che non inforca certo occhiali malevoli nei confronti delle istituzioni europee – che lo finanziano).
In Germania, soltanto gli obblighi di fornire informazioni alla burocrazia federale (escludendo quella dei Länder) tocca 40 miliardi di euro l’anno (in base a una stima effettuata su 7.000 dei 10.500 obblighi d’informazione individuati dal Consiglio federale per il Controllo della regolazione); l’ultimo rapporto annuale del Consiglio in questione afferma che si tratta di una stima per difetto, ma che il Governo federale si è impegnato a ridurre costi delle regole su cittadini e imprese del 25% e che, di riffa o di raffa, lo farà (la determinazione teutonica è nota, anzi notoria). I tedeschi hanno preso a modello l’Olanda che, secondo l’“International Regulatory Reform Report 2010”, “è diventata un modello e un leader internazionale in materia di riforma della regolamentazione”.
Anche la Francia (notoriamente statalista e interventista) ci sta andando a fondo: dal 2006, afferma un saggio di Frédéric Bouder, si possono avere in otto giorni tutte le autorizzazioni per fare decollare un’impresa. In Francia, come in America dall’epoca del primo Governo Reagan (misura che nessun Presidente o Congresso successivo ha modificato), tutti i disegni e le proposte di legge dovranno essere corredati non solo di una relazione tecnica relativa all’impatto sul bilancio dello Stato (analoga a quanto predisposto in Italia con l’ausilio della Ragioneria Generale dello Stato), ma anche da un’analisi costi benefici (o costi efficacia) rigorosa relativa a oneri e vantaggi per la collettività.
Una malattia, quindi, comune, aggravata in Italia da un riparto di competenze tra centro e periferia piuttosto caotico a ragione della frettolosa riforma del Titolo V della Costituzione. Il “capitalismo municipale” è, al tempo stesso, vittima e imputato del pullulare di regolazione spesso contraddittoria tra centro e periferia. I dati salienti per l’Italia sono i seguenti: numero di aziende, 369; contributo al Pil nazionale dall’1% al 6% (a seconda della ragione); addetti, 200.000 unità. In Francia le dimensioni sono analoghe. Oltralpe, inoltre, non ci sono le persistenti differenze nei costi del personale e della redditività fra le varia macro-aree (Sud, Centro e Nord) che, secondo analisi recenti della Fondazione Eni Enrico Mattei e dell’Università La Sapienza, caratterizzano l’Italia. Infine, i nuclei francesi a basso reddito erogano per acqua, elettricità e riscaldamento lo 0,075% della spesa familiare – un po’ più dello 0,059% di quelle italiane nella stessa fascia sociale. Proprio a proposito del settore idrico è scoppiata la rivolta quando si è tentato di recepire le regole europee.
Come uscire da questo pasticcio? Il secondo Governo Prodi tentò con le “lenzuolate”. Pierluigi Bersani probabilmente non sa che questo è il metodo seguito dalla Margaret Thatcher e mirabilmente descritto in un libro di Paul Pierson. Tuttavia, ciò che funziona in Gran Bretagna non è necessariamente adatto a un’Italia dove le corporazioni sono molto più radicate. Le lenzuolate hanno reso ben poco.
A mio avviso sono indispensabili due misure: a) una norma costituzionale in base alla quale tutte le leggi, tutti i regolamenti, tutte le circolari sono a termine e dopo un certo numero di anni devono essere riapprovate secondo le procedure con cui sono state varate (non tramite un decreto mille proroghe o simili); b) un “Bing Bang” per far sì che i gruppi di interesse si elidano a vicenda. Se questo proposte non sono buone, se ne facciano altre. I costi e i freni sono tali che non si può eludere il problema.

Fonte: Sussidiario.net del 17 ottobre 2011

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