Una vicenda surreale. La nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia non solo non è stata sottratta a un vergognoso gioco di veti incrociati della politica italiana, ma rischia di concludersi con l’indicazione di un candidato agevolata da un ultimatum del presidente francese. Questo senza nulla togliere alle qualità indiscusse di Lorenzo Bini Smaghi, membro della Bce che – secondo gli accordi italo-francesi – avrebbe dovuto dimettersi dall’incarico prima dell’arrivo di Draghi a Francoforte. Ma non lo ha fatto, eccependo fondate ragioni legate alla indipendenza dell’organismo. È lecito chiedersi se, senza il diktat di un irascibile Sarkozy, l’esito sarebbe lo stesso. Certo, l’Eliseo non accetta l’idea di avere dal primo novembre un consiglio con due italiani e nessun francese. Ma qualcuno forse potrebbe far notare a Sarkozy che tra l’uscita di Noyer dalla Bce nel giugno del 2002, destinato alla Banque de France, e l’arrivo di Trichet alla presidenza, trascorse un anno e mezzo. Difficile però tener testa a un leader che nel momento in cui ha appoggiato ufficialmente Draghi, si è rivolto sprezzante, e non contraddetto, a Berlusconi dicendogli: «Spero che questa nomina non dispiaccia troppo al suo ministro dell’Economia». L’avversione di Tremonti per Draghi era già di pubblico dominio e quel dualismo ha indebolito la nostra posizione all’estero al pari dell’irrilevanza dell’esecutivo sulle principali questioni europee, immagine a parte.
Il presidente della Repubblica ha seguito questa procedura di nomina con attenzione e preoccupazione. Nei limiti del suo ruolo. Ne ha parlato per la prima volta con il premier il 22 giugno. Da allora ha sollecitato una decisione autonoma e personale (così prevede la legge del 2005) da presentare al consiglio superiore della Banca, che ha potere consultivo, nel rispetto della continuità e dell’autonomia di un’istituzione di garanzia così importante per il Paese. Ma, soprattutto, ha suggerito una decisione veloce. Se il premier non si fosse baloccato fra spinte diverse – Tremonti che voleva a tutti i costi il suo direttore generale Grilli, le sollecitazioni per una scelta interna, Saccomanni -, non avremmo assistito a una sguaiata lite su un ruolo così delicato, in cui tutti i politici si sono sentiti autorizzati a dire la loro mentre a Bruxelles, dove si decidevano i destini dell’euro, eravamo semplicemente assenti. Bossi è arrivato addirittura a indicare Grilli solo perché milanese.
Fonti del governo sostengono che la scelta cadrebbe su Bini Smaghi anche per l’impossibilità di trovargli una collocazione di pari dignità. Un incarico che possa accettare per dimettersi dalla Bce, senza dare l’impressione di un’ingerenza della politica in un organo la cui indipendenza è garantita da un trattato. Insomma, un enorme groviglio. Una procedura pasticciata. Una plateale dimostrazione di mancanza di leadership e persino di dignità nazionale. Oggi vedremo quale sarà l’esito finale. Un risultato è già acquisito, purtroppo. Chiunque sarà il nuovo Governatore dovrà rimontare uno spiacevole vulnus di immagine derivato della tempestosa e farraginosa procedura di nomina. Il timore è anche quello di una serie di dimissioni (da Saccomanni a Visco) da via Nazionale, gesto estremo, sconsigliabile a funzionari dello Stato, che farebbe precipitare la farsa della nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia in un dramma istituzionale di difficile ricomposizione.
Come pasticcio un capolavoro
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