La ragione e la politica, anche se in extremis, si sono alleate e hanno vinto. Così a Mario Draghi sulla poltrona di governatore della Banca d’Italia succederà uno dei suoi più stretti collaboratori, Ignazio Visco. Il valore dell’indipendenza di Palazzo Koch alla fine è stato riconosciuto anche dall’intero governo e di ciò l’opinione pubblica italiana non può che dirsi soddisfatta.
La Banca d’Italia si conferma come una straordinaria fucina di classe dirigente, visto che i suoi ranghi offrivano più di una valida soluzione al rebus del dopo-Draghi. Dobbiamo però sapere che niente di quanto abbiamo detto sarebbe stato possibile senza la paziente e vigile tutorship del presidente della Repubblica, che ha seguito passo dopo passo l’evoluzione della vicenda, consapevole di come rappresentasse l’ennesimo banco di prova della credibilità internazionale del nostro Paese e delle nostre istituzioni.
Una volta messo in cascina il fieno di una buona nomina di un eccellente economista dobbiamo però essere coscienti di quanto sia stata difficile la scelta. In giorni delicatissimi per l’avvenire dell’Italia, con l’altalena dello spread tra Btp e Bund addirittura attorno a quota 400, il governo ha tirato in lungo all’inverosimile. Davanti agli occhi del mondo il premier e il suo più titolato ministro si sono divisi palesemente e hanno dato vita a un braccio di ferro inutile quanto dannoso. Siamo giunti al punto che uno dei papabili è stato sponsorizzato dal leader della Lega solo in base al Comune che gli aveva dato i natali. Mancava che arrivassimo al segno zodiacale! Le maggiori vittime di questo insulso scontro sono stati proprio Fabrizio Saccomanni e Vittorio Grilli, due gentiluomini che avevano tutte le carte per diventare degli ottimi governatori e che non meritavano di essere oggetto di uno scontro tra esponenti dello stesso governo. Così nei giorni in cui avremmo dovuto legittimamente festeggiare l’avvento alla testa della Bce di un italiano siamo stati costretti a penare sulle sorti dell’indipendenza di Palazzo Koch.
La legge che l’Italia si è data dopo il trauma rappresentato dal caso Fazio ha avuto sì il merito di correggere l’anomalia del governatorato a vita ma ha mostrato, davanti a un vero stress test, tutte le sue imperfezioni non riuscendo a difendere la Banca d’Italia dal tritacarne politico. La catena degli avvicendamenti tra Francoforte e Roma ha poi complicato l’opera e ha fatto diventare la staffetta in Banca d’Italia il terreno di una pesante intromissione di Nicolas Sarkozy. Non si discute infatti il valore di Lorenzo Bini Smaghi, però la sua nomina sarebbe irrimediabilmente apparsa come un’intollerabile cessione di sovranità. II nostro amor patrio è già stato messo a dura prova dalla bufera finanziaria di questi mesi e un ulteriore smacco sarebbe stato eccessivo. Bini Smaghi avrà tutte le occasioni per mostrare le sue qualità e metterle al servizio delle istituzioni del suo Paese, per questo sarebbe opportuno un suo passo indietro dal board della Bce in maniera di chiudere l’incidente tra Roma e Parigi consentendo la nomina di un francese.
Archiviata la fase degli organigrammi ora è bene concentrarsi sulle cose da fare. Non può fare piacere che a Bruxelles ormai l’Italia sia considerata la vera malata grave d’Europa. Dobbiamo uscire da quest’incubo.
Il buon esito di una politica mal condotta
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