• lunedì , 25 Novembre 2024

Monti e patrimoniale

E’ necessario intraprendere un percorso di dismissione del patrimonio che sia in grado, al contempo, di creare liquidità e di evitare svendite di immobili, di beni demaniali e di partecipazioni pregiate.
La riuscita del tentativo di Mario Monti di formare un governo che metta un argine alla pressione dei mercato sui nostri titoli di Stato e allontani così lo spettro del default – per nulla immaginario – è troppo importante perché sia sacrificata sull’altare di una patrimoniale. Se davvero fosse una tassa sul patrimonio il discrimine che divide Pd e Pdl – con i primi a farne una bandiera per dimostrare che davvero Berlusconi non c’è più e i secondi che anticipano la campagna elettorale al grido “non si mettono le mani nelle tasche degli italiani” – sia chiaro fin d’ora che ci può essere una felice mediazione che mette d’accordo tutte le esigenze, a cominciare ovviamente dall’unica sana, quella di tagliare in modo significativo il debito pubblico. Dunque, non una patrimoniale, ma un “acquisto forzoso” di titoli. Mi spiego.
Partiamo dal presupposto che in questo momento occorrerebbero 500-600 miliardi. Diciamo 570, cioè il 30% dell’intero stock di debito (1900 miliardi), per destinarne 380 a portare il rapporto debito-pil di qualche punto sotto il 100%, e 190 per sostenere la crescita secondo un piano di sviluppo di stampo liberal-keynesiano (investimenti in conto capitale per infrastrutture materiali e immateriali, come la banda larga; creazione di nuovi poli industriali e del terziario avanzato). Dove si trovano così tanti soldi? A parte la riduzione della spesa pubblica corrente, il taglio degli sprechi, la lotta all’evasione, l’aumento dell’età pensionabile, la semplificazione dei livelli amministrativi del decentramento e quant’altro deriverebbe da mille azioni di risanamento, nell’immediato le strade sono solo due: vendita di beni pubblici e “prelievo di beni privati”. Per la prima operazione occorre evitare sia la svendita degli immobili e dei beni demaniali sia la cessione delle partecipazioni pregiate (Eni, Enel, ecc.). E l’unico modo è creare una società veicolo, cui conferire quel “patrimonio fruttifero” stimato dal Tesoro in 675 miliardi rispetto ai 1.815 miliardi di attivi complessivi, da quotare in Borsa attraverso un progressivo classamento di azioni sulla base di un calendario prefissato e illustrato ai mercati in modo che possano fin dall’inizio scontare il presumibile ricavo futuro. Per la seconda strada, quella relativa al patrimonio privato, occorre invece non essere punitivi ed evitare i veti politici. Come? Usando la stessa società creata per la prima operazione. Si potrebbe dire a chi possiede patrimonio oltre una certa soglia che andrà stabilita: o paghi la patrimoniale oppure, in alternativa, compri i titoli della “società anti-debito”. Faccia Monti i calcoli per stabilire la platea cui applicare questa manovra, e in quale misura. Certo, si tratterebbe pur sempre di subire una coercizione, ma “dare oro alla patria” in cambio di un titolo credo sia meglio che farlo senza avere alcuna contropartita.
Questo è un canovaccio di lavoro, cui possono essere apportate molte variazioni. Ma è probabile che incontrerebbe il gradimento della “troika” Ue-Bce-Fmi, sotto la cui tutela siamo finiti per nostra incapacità. E per Monti potrebbe essere un più che accettabile punto di mediazione tra esigenze politiche diverse. Sempre nella convinzione che oggi il suo governo sia l’unica chance che l’Italia ha per evitare la catastrofe. E anche la migliore way-out dalla fallimentare stagione del bipolarismo malato.

Fonte: Messaggero del 13 novembre 2011

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