Ora si parla di «sciopero degli investitori». E una pista porta alla Bce L’ Eurotower Le pressioni per modificare lo statuto della Bce e spingerla a trasformarsi in prestatore di ultima istanza Previsioni (smentite) Politici e banchieri avevano ipotizzato una caduta dello spread di 200 punti dopo il ricambio a Palazzo Chigi.
Dopo spread dovremo forse fare l’ abitudine a maneggiare un’ altra espressione di derivazione anglosassone: investor strike , che in italiano suona come sciopero degli investitori. La si legge in molti report delle banche d’ affari. Nel passaparola di ieri tra gli operatori questa singolare forma di astensione è stata motivata così: «Sono caduti due governi in Grecia e in Italia, aspettiamo cosa succede dopo ma intanto non rinnoviamo i bond che scadono. È troppo rischioso». Ed è questa dunque l’ amara verità con la quale deve fare i conti la gestazione del governo Monti. Non ci sono (finora) grandi firme della consulenza finanziaria pronte a spendersi per l’ Italia, non ci sono mani forti disposte a comprare i nostri Btp, mancano soggetti economici di peso che abbiano interesse a incrementare le loro posizioni. Ed è un guaio destinato a non esaurirsi in un giorno. E comunque qualora ci fosse stato qualcuno incline ad acquistare i nostri bond, ci ha pensato Christian Clausen, numero uno della European banking federation, a metterlo in fuga. Con un’ intervista ha mandato agli istituti di credito un input preciso: pensate a ridurre il vostro portafoglio se non volete «essere risucchiati nell’ epicentro della crisi». Venerdì scorso il rimbalzo dello spread si era avuto perché operatori importanti come Soros o Fidelity si erano ricoperti, ieri nessuno ha fatto altrettanto. E le banche italiane che magari avrebbero potuto comprare sono già così piene di titoli di Stato che caso mai accade il contrario, si mettono in moto meccanismi quasi automatici che impediscono loro di emettere ordini di acquisto. Se le cose stanno così – e sono in molti sul mercato a giurarlo – non ci attendono giorni facili. I politici come Enrico Letta, vicesegretario del Pd, che negli ultimi momenti del governo di centrodestra si erano spinti a dichiarare pubblicamente che la caduta del Cavaliere ci avrebbe regalato «100 punti di spread» sono stati clamorosamente smentiti. E la destra può tranquillamente accusarli di aver ceduto alle lusinghe della propaganda, di aver raccontato una bugia.E con loro l’antiberlusconismo chic ha tradito anche quei banchieri da talk show che per strappare un applauso avevano addirittura raddoppiato il bonus di Letta fino a prevedere 200 punti in meno di spread! A far rinsavire gli uni e gli altri ieri è arrivata la dura lezione del mercato e hanno preferito staccare il telefono per non dover rispondere delle loro imbarazzanti profezie. Così oggi, nel giorno fatidico in cui Mario Monti dovrebbe sciogliere la riserva, si partirà comunque da uno spread Btp-Bund non troppo lontano da quota 500. L’ effetto Caimano dunque non c’ è stato. Gli ottimisti sostengono che arriverà nei prossimi giorni quando il neo primo ministro illustrerà la composizione del nuovo governo e soprattutto il suo programma. E di conseguenza lo spread dovrebbe scendere. Ma di quanto? A questa domanda nessuno ora dopo la previsione sbagliata sul Cavaliere vuole rispondere e si trovano con maggior facilità operatori che dipingono il cammino del governo Monti come una via Crucis. Sostengono che con una maggioranza parlamentare larga ma non politicamente solida a ogni passaggio necessario per l’ approvazione a Montecitorio-Palazzo Madama di questo o quel provvedimento assisteremo al teatrino degli spread. Insomma abituiamoci all’ altalena anche se a Palazzo Chigi siederà un uomo stimato dalla City conosciuto e apprezzato nelle cancellerie europee che contano. Più che il giudizio sul successore di Silvio Berlusconi contano severe note come quelle emesse dalla Barclays che considera l’ Italia arrivata a un punto di non ritorno, appunti che i fondi pensione americani leggono avidamente e che certo non spingono i loro asset manager a investire nei Btp italiani nonostante gli ottimi prezzi che riuscirebbero a spuntare. Conta più il deterrente rappresentato dal rischio Italia che la possibilità di portare a casa un titolo decennale remunerato ben oltre il 6%. È pur vero che a complicare la giornata di ieri sono arrivate le performance negative di due banche come Unicredit e Popolare di Milano, la prima ha presentato conti peggiori delle aspettative e la seconda sconta un pregiudizio negativo degli operatori sulla riuscita dell’ aumento di capitale. Ed essendo il mercato finanziario italiano estremamente correlato i guai delle due banche si sono riflessi persino sullo spread. Una ricognizione sul mancato effetto Cavaliere sarebbe però incompleta se non riferisse di ciò che pensa una agguerrita tribù di operatori. Senza scadere nel complottismo da operetta costoro sono convinti che l’ obiettivo dei mercati vada ben oltre le nostre misere sorti. Nel mirino ci sarebbe la Banca centrale europea di Francoforte e l’ idea di costringerla a cambiare statuto e a diventare a tutti gli effetti prestatore di ultima istanza. A stampare moneta come la Federal Reserve e la Bank of England. Ricostruendo la giornata di ieri i sostenitori di questa tesi invitano a leggere l’ altalena dei titoli del debito spagnolo, sono stati i bond iberici a determinare l’ inversione della tendenza al ribasso del nostro spread. In sostanza le mani forti del mercato picchierebbero Spagna e Italia ma guardano alla Francia, giudicata una tripla A debole. Se Parigi dovesse entrare davvero nel mirino degli hedge fund allora Berlino, finora unica contraria al cambio di statuto della Bce, sarebbe costretta a cambiare posizione. Fantafinanza? Sicuramente no, visto che circolano tra gli operatori studi americani che sostengono proprio questa tesi e le dinamiche di mercato della giornata di ieri qualche argomento a favore lo forniscono con i titoli di Stato spagnoli arrivati a 434 punti di differenza dai Bund e con lo spread francese attestato a quota 165. Va da sé che se dovesse esser vera questa tesi noi rappresentiamo il classico vaso di coccio e anche il varo di un buon governo con un convincente programma non ci toglierebbe del tutto dalla peste. Non tutti gli operatori condividono la pista che porta a Francoforte ma la si sente ripetere sempre più spesso.
La (difficile) svolta della fiducia
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