Un Governo del Presidente è un governo politico: non solo nel senso ovvio che i suoi atti sono sottoposti al voto del Parlamento, ma in quello sostanziale che essi hanno effetti sugli equilibri politici presenti e futuri. Già il solo prospettarsi di un Governo Monti ha prodotto un vistoso cambiamento del quadro politico, la rottura della storica alleanza Pdl-Lega.
Per questo i governi del Presidente sono per definizione governi di emergenza: superarla è ciò che definisce sia il loro programma, sia il loro orizzonte temporale. Non è emergenza l’uscita dal berlusconismo, evento previsto da tempo, in discussione essendo non il se, ma il quando e il come del suo verificarsi. C’è un modo solo per voltare pagina dopo 17 anni di Berlusconi al centro della vita politica: le elezioni. La partecipazione del Pdl alla maggioranza a sostegno di Monti esclude in radice l’eventualità di una deberlusconizzazione stile 25 aprile: dato che in diversi l’hanno scritto, diciamo che non sarebbe comunque emergenza scrivere un altro capitolo della Guerra dei Trent’anni televisiva come, bastando, a riposizionare i toni di certe trasmissioni, la consumata sensibilità per il vento di conduttori e dirigenti. Non sarebbe emergenza abolire le leggi ad personam. I 17 anni del berlusconismo sono stati anche i 17 anni dell’antiberlusconismo: dopo i danni che esso ha fatto all’opposizione sarebbe il colmo che continuasse a fargliene ora che essa è diventata parte della maggioranza.
Si chiama economia l’emergenza che ha determinato la nascita del Governo Monti. Ma l’emergenza economica è dovuta a due cause ben distinte tra di loro, anche se amplificate dal loro sovrapporsi. Una è interamente da addebitare al governo Berlusconi, alla pervicacia con cui ne sono stati negati i sintomi anticipatori, alla inadeguatezza con cui si è reagito quando la crisi è esplosa. Ci vuole un cambiamento di tono, e a seguire un pacchetto di riforme credibile nel contenere le spese e favorire la crescita, segni che si può invertire la dinamica di tassi di interesse e crescita. Quanto al nostro debito pubblico, esso è oggi più o meno quello di quando ad aggiungere una i ai Pigs erano i maligni e non i mercati. Inoltre abbiamo assistito, nei rapporti tra vertici politici, a cadute di stile e ingerenze irrituali: anche qui è necessario un cambiamento di tono. In tutto questo non v’ha dubbi che il governo Monti darà prove eccellenti.
Poi c’è l’altra causa dell’emergenza, quella da addebitare a governi e istituzioni europee, alla loro inadeguatezza nel riconoscere le manchevolezze costitutive dell’euro, messe in evidenza dalla crisi mondiale. Emergenza è diventata quella dell’euro sui mercati. Ogni vertice una delusione, leader senza le visioni di un Kohl o di un Mitterand che balbettano soluzioni insufficienti e in ritardo. Chi vorrebbe avanzare verso una più stretta unione, chi ritornare al solo mercato comune; chi lamenta la mancanza di un prestatore di ultima istanza, chi teme l’azzardo morale; chi vuole salvare le banche, chi gli Stati. Non vi è più nessuno che pensi che l’euro possa sopravvivere com’è oggi, mentre aumenta il numero di chi pensa che non possa sopravvivere comunque. Chi voleva attaccare l’euro ha attaccato l’Italia: se, passato l’effetto annuncio, dovesse ricominciare, l’emergenza continuerebbe.
Il Governo Monti dovrà fare accettare, politicamente e socialmente, gli impegni che avremo assunto. Le riforme, si sa, toccano interessi, quindi incontrano resistenze: è l’emergenza che darà al Governo Monti la forza per superarle. Il rovescio della medaglia è che quanto maggiore successo avrà nel recuperare credibilità, quanto più riuscirà a farci uscire dall’emergenza, tanto minore diventerà la sua forza. Il tempo è la variabile cruciale di un governo di emergenza: più si allunga il tempo, più aumenta l’irrequietezza di partiti che vedono avvicinarsi il momento in cui dovranno rendere conto agli elettori di ciò a cui nell’emergenza hanno acconsentito. Che non convenga porre una scadenza alla durata del Governo Monti, risponde a prudenza: non si sa mai cosa può succedere. Un termine breve, diciamo non oltre metà 2012, sarebbe coerente con la natura di un governo di emergenza, sufficiente per fare quello che deve, utile per scongiurare che, se si allontana lo spettro di un crollo finanziario, la sua maggioranza perda pezzi o si consumi in veti contrapposti, opportuno per evitare interpretazioni estensive dell’emergenza.
Un discorso a parte merita la legge elettorale. Tema che più politico non si dà: infatti da essa dipendono le sorti di partiti e di coalizioni, addirittura il modo in cui si esplica la rappresentanza democratica. Per quanto criticabile e fin odiosa sia l’attuale legge elettorale, riformarla non fa parte dell’emergenza ma della normalità del gioco politico. C’è il referendum: ove la Corte lo dichiarasse ammissibile, tutto quello che il Governo dovrà fare è garantire che si svolga la consultazione. Iniziative in Parlamento per andare oltre, di cui già si parla, oltre che essere incongrui per un Governo del Presidente, si ripercuoterebbero sulla sua stabilità.
Governo politico e di emergenza
Commenti disabilitati.