L’aritmetica della manovra italiana cerca punti fermi dal confronto con Bruxelles: dall’Eurogruppo e dal documento presentato da Olli Rehn arriva qualche certezza in più. Per l’Italia è essenziale lasciare fermo il paletto fissato dal governo Tremonti per il 2012, vale a dire un traguardo intermedio per il deficit (che deve essere in pareggio nel 2013) pari all’1,6 per cento. Poiché nelle stime d’autunno della commissione il deficit era già stimabile in un 2,3% del Pil, ciò richiede una correzione da 0,7 per cento del Pil per l’anno prossimo. Un aggiustamento da 11 miliardi per il solo 2012. C’è poi la necessità di recuperare 4 miliardi della delega fiscale già previsti nell’ultimo decreto di correzione dei conti: se non si procede, scatta la clausola di salvaguardia o bisogna intervenire ancora.
A questo punto entra in gioco anche il problema della recessione: come si sa l’Ocse ha appena sfornato il suo outlook nel quale sostiene che l’anno prossimo il nostro paese vedrà il Pil in flessione (-0,5% del Pil). Ma questo vuol dire che la crescita sarà inferiore di un punto percentuale a quanto stimava il governo Berlusconi. Un mancato sviluppo di un punto implica, secondo il consueto calcolo a spanne, mezzo punto percentuale di deficit in più da correggere, ovvero altri 7-8 miliardi. Il rischio è che entro il 2013 gli interventi da mettere in atto superino largamente i 20 miliardi.
Ce la possiamo fare? «Francamente io temo molto – osserva Sergio de Nardis, chief economist di Nomisma questa rincorsa all’austerità fiscale, dominante in tutta Europa, che sta finendo con il provocare una recessione. Oggi l’Italia è costretta a varare un intervento aggiuntivo pesante per convincere la Bce che il nostro paese non vuole dedicarsi al moral hazard sul debito. Ma non è detto che i mercati siano rassicurati, al dunque, da interventi fiscali così forti».
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca Stefano Fantacone, economista del Cer: «Noi già in novembre ci siamo convinti del fatto che il 2012 vedrà l’Italia in recessione e in buona parte è una recessione da domanda pubblica, perchè gli interventi già realizzati dal passato governo riducono sia consumi che investimenti pubblici». E’ per questo molto importante, secondo l’esperto del centro studi romano, che il nuovo governo sappia rimettere la centro della sua riflessione la crescita: «Questo non vuol dire afferma avere la bacchetta magica ma, semplicemente, tornare a indicare delle priorità: che si tratti di combattere la sottoccupazione di giovani e donne o di rilanciare le infrastrutture. Sono questioni per le quali anche se non è possibile ottenere una soluzione immediata è molto importante tornare a dare una rotta».
Sul valore totale delle misure resta l’incognita del Pil
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