• sabato , 23 Novembre 2024

Monti e pensioni

Le pensioni, punto focale della manovra del governo Monti, sono uno degli aspetti più delicati dell’intero sistema-Italia. Perché il rischio di scontentare qualcuno è altissimo. Ma questo non deve spaventare, anzi
Informativa, consultazioni o vere e proprie trattative? Sarà chiaro solo domani, con la presentazione ufficiale della manovra, come catalogare il giro che Monti ha fatto nel weekend con gli interlocutori politico-parlamentari e le parti sociali. In tutti i casi, ci sono dei pro e dei contro nella modalità di tenuta dei rapporti tra il governo e i suoi diversi stakeolder. Perché se da un lato è bene che un esecutivo che gode di una larghissima fiducia parlamentare ma di una limitata convergenza politica, sappia tenere il filo del confronto e usi con parsimonia l’arma del ricatto dell’emergenza, che è la vera piattaforma su cui è nato, dall’altro è indispensabile che non si faccia risucchiare in trattative mascherate da consultazioni, imposte da chi intende riguadagnare gli spazi d’azione perduti finendo per sospingere il governo in un meccanismo infernale che produce solo paralisi. Anche perché, come si è già visto, a parte il Terzo Polo che fin dal primo momento ha dato carta bianca a Monti, sia i due partiti maggiori (o meglio, alcune loro componenti interne) sia l’Idv e gli altri partiti pulviscolari, hanno espresso non pochi distinguo prima ancora di sapere quali misure il governo intende prendere.
Prendiamo il caso dell’intervento sulla previdenza, che dovrebbe essere (e si spera che sia) un architrave fondamentale della manovra. Di Pietro, allineandosi non casualmente alla Lega, ha fatto sapere che le pensioni di anzianità non si toccano, e un moderato come Damiano gli ha fatto eco, dicendo ai suoi del Pd – immagino parlasse a Ichino, Morando e ai liberal dei Democratici – che non bisogna regalare voti alla Lega (esigenza che evidentemente viene prima della salvezza del Paese). E questo nonostante che proprio in queste ore l’Inps ci abbia fatto sapere che nei primi dieci mesi dell’anno l’età media di coloro che sono andati in quiescenza con l’anzianità è stata di 58,7 anni – di cui i due terzi con 40 anni di contributi – e che su 224.241 uscite complessive, quelle per anzianità sono state 136.015 contro le 88.226 per vecchiaia. Considerato che i lavoratori usciti con la vecchiaia (65 anni gli uomini, 60 le donne) sono andati a casa a 62,7 anni, ecco che l’età media di tutti i pensionati Inps (vecchiaia e anzianità) non va oltre i 60,2 anni, addirittura in calo rispetto ai 60,4 anni del 2010. Di fronte a questi dati, il presidente dell’Inps, Mastrapasqua, che pure è sempre stato prudente nell’auspicare un aumento dell’età pensionabile, ha dovuto ammettere che siamo ben lontani da molti altri paesi europei e che un qualche intervento occorre.
Ciononostante, le componenti conservatrici, di destra e di sinistra, protestano e assumono “quota 40” come la linea del Piave? Facciano. Non è più tempo di veti e di paure. Se ci è concesso dare un consiglio, bene che Monti spieghi e ascolti, ma non si faccia attirare nelle sabbie mobili di una trattativa sui diversi provvedimenti che andranno a comporre la manovra. Cioè, non perda mai di vista il fatto che è stato chiamato ad un’opera di supplenza proprio perché sulle riforme strutturali non c’era una sufficiente convergenza e omogeneità non solo fra le due coalizioni contrapposte del nostro fallimentare bipolarismo, ma anche all’interno delle maggiori forze politiche. Dia il segno tangibile che si è cambiato metodo, e non c’è niente di più emblematico che farlo sulle pensioni.

Fonte: Il Messaggero del 4 dicembre 2011

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