Il decreto “Salva Italia” è stato approvato fra cori di critiche, spesso molto pesanti. Si è detto che è recessivo, che è fatto solo di tasse, che è carente sotto il profilo delle misure per lo sviluppo, che è iniquo. Nell’opinione pubblica si diffonde l’idea che i professori abbiano una qualche perversa inclinazione a fare tutto il male possibile.
Sembra che si sia persa traccia della percezione, condivisa da tutte le principali forze politiche, che nelle settimane scorse eravamo pericolosamente vicini all’abisso, il rischio Grecia. Credo si possa dire che quel rischio è stato evitato. «Giusto in tempo», come ha detto il Presidente Napolitano. E non è certo poco. Non siamo ancora fuori dalla zona di pericolo e il livello degli spread rimane intollerabilmente elevato. È evidente che, dopo il decreto, c’è molto altro da fare.
Ma non si va da nessuna parte e si rischia uno stallo pericoloso se non vi è una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti. E per fare questo occorre parlare il linguaggio della verità, un linguaggio molto diverso da quello che sentiamo in questi giorni.
È indubbiamente vero: questa manovra ha un qualche effetto depressivo sulla domanda interna nel breve periodo. Ma va detto che, in varia misura, qualunque manovra di aggiustamento dei conti pubblici ha questo effetto. Chi dice che la manovra non va bene perché è recessiva dice sostanzialmente che non andava fatta alcuna manovra. È una posizione ovviamente legittima sotto il profilo intellettuale, anche se in fortissimo contrasto con gli orientamenti europei e le aspettative dei mercati finanziari. Chi la pensa in questo modo lo dica chiaramente, non si nasconda dietro un dito e, soprattutto, si confronti con l’argomento che la recessione trova origine nella perdita di fiducia dei mercati finanziari nei confronti di molti Paesi dell’euro tra cui l’Italia. La svolta in peggio è avvenuta nel corso dell’estate quando sono aumentati gli spread sui titoli sovrani con le inevitabili ripercussioni che ciò ha avuto sul funding delle banche e sulla loro capacità di erogare credito a imprese e famiglie. Se è il credit crunch che sta generando recessione, allora la manovra Monti ne è l’antidoto, doloroso, ma necessario.
Si dice che la manovra è recessiva perché aumenta le tasse. In parte è vero. Ma si riconosca che gli inasprimenti fiscali sono di entità non molto diversa da quelli che erano previsti dal precedente governo, in particolare nella delega fiscale che accompagnava la manovra di agosto. Si riconosca soprattutto che la riforma delle pensioni è la prima vera misura strutturale di riduzione della spesa da molti anni a questa parte. Negli anni scorsi erano stati effettuati i cosiddetti tagli lineari che hanno contribuito a contenere la crescita della spesa nel breve periodo, ma non ne hanno modificato le tendenze di fondo. Quei tagli hanno “raschiato il fondo del barile” delle pubbliche amministrazioni, ma non avendo inciso sui meccanismi di formazione della spesa, ci hanno lasciati pericolosamente esposti al rischio di rimbalzi verso l’alto delle uscite. Anche qui è bene essere chiari e trasparenti. Per fare gli ulteriori tagli che tanti invocano come una sorta di facile toccasana vanno identificate le funzioni della pubblica amministrazione che non sono più necessarie a questo serve la spending review e bisogna avere il coraggio di mettere in mobilità i dipendenti pubblici.
Ma già ci sono misure incisive
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