Perché la fase due del governo Monti sembra, al momento, inadatta a traghettarci fuori dalle secche della recessione.
Mentre il governo varava il decreto sulle liberalizzazioni, un altro pezzo di made in Italy, lennesimo nel settore agro-alimentare, prendeva la strada dellestero: la Ar Alimentari, con 300 milioni di fatturato primo produttore italiano di pomodoro pelati, è passata sotto allinglese Princes, a sua volta controllata dal gigante giapponese Mitsubishi. Si allunga così la lista dei piccoli gioielli del nostro capitalismo che sono passati in mani straniere, mentre incombono destini non italiani anche per grandi realtà industriali come la Fiat e pezzi importanti di Finmeccanica. Non cè bisogno di essere protezionisti, cosa anacronistica nellera delleconomia globale, per capire che tutto ciò non favorisce certo quella veloce uscita dalla recessione che il governo si è prefisso. Non è un caso, infatti, che solo qualche giorno fa il Fondo Monetario abbia rivisto in modo pesantemente negativo le stime sullItalia, portando al 2,2% la perdita di pil nel 2012 e allo 0,6% quella per lanno prossimo. Insomma, due anni di recessione dopo i due (2008-2009) dovuti alla crisi mondiale: se così fosse lItalia sarebbe lunico paese dellarea Ocse a sommare quattro anni di recessione in un quinquennio, con un depauperamento della ricchezza di ben otto punti (6,5% nel 2008-2009 più 2,8% nel 2012-2013, meno la crescita dell1,3% realizzata nel 2010).
Per questo appare davvero fuori luogo, anche se psicologicamente comprensibile, la scelta del target che il consiglio dei ministri ha voluto dare ai provvedimenti varati venerdì nel breve periodo, consentiranno di traghettare leconomia nazionale fuori dalla spirale recessiva e, nel medio-lungo periodo, di allinearla ai ritmi di crescita dei partners europei e internazionali tanto più che si è voluto quantificare (il pil potrebbe salire dell11%, i consumi dell8% e i salari reali di quasi il 12%). Palazzo Chigi cita uno studio dellOcse, ma quei dati sono la somma di due vecchi papers, di Confindustria e Bankitalia, che articolavano la proiezione nel decennio successivo nel caso di una totale liberalizzazione (stile Thatcher), cioè cosa assai diversa dal pur apprezzabile sforzo fatto dal governo Monti. E comunque stiamo parlando di dieci anni. Un tempo infinito se si considerano le emergenze delloggi.
Rischia dunque di essere pericolosamente illusorio credere che il decreto liberalizzazioni ci regalerà non dico la crescita, ma anche solo luscita dalla recessione. Ci vuole ben altro. Occorrono, nel breve, almeno altre quattro cose. Primo: uniniezione di liquidità. Cosa che può dare solo la decisione di mettere subito in pagamento i 70 miliardi di fatture non pagate da parte delle pubbliche amministrazioni. Anche con Bot e Btp, ma si paghino. Secondo: alcune scelte su aziende e settori strategici, con il coraggio di una forte innovazione che inauguri una nuova stagione di politica industriale a difesa degli interessi nazionali. Terzo: una revisione (modello Ichino) del mercato del lavoro e del welfare, che metta fine alla stagione della cassa integrazione e apra quella del salario minimo. Quarto: investimenti in conto capitale. Il tutto tagliando di sette punti (dal 52% al 45%) la spesa corrente e facendo una manovra sul debito facendo leva sul patrimonio pubblico e privato. Non so quanto faccia in termini di pil, ma certo fa di più delle pur necessarie liberalizzazioni.
Liberalizzazioni, e non solo
Commenti disabilitati.