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Passera, dov’è lo sviluppo? “Ecco la mia road map”

Entro il 19 aprile la nuova regolamentazione per l’assegnazione delle frequenze; entro fine aprile le norme sulle energie rinnovabili; entro maggio il disegno di legge delega per l’armonizzazione e il completamento organico delle norme sulle opere pubbliche; entro giugno l’agenda digitale, la riforma degli incentivi all’industria e le modalità sulla separazione di Snam da Eni; entro luglio il piano nazionale aeroporti, il piano porti e interporti; entro fine anno la sistemazione dei debiti nei confronti dei fornitori della pubblica amministrazione. E intanto 200 tavoli per le aziende in crisi, 100 per le aziende in ristrutturazione, il piano casa, il piano strategico nazionale per l’energia, quello per le infrastrutture e, cuore di tutto, il piano crescita. Corrado Passera è il ministro dello sviluppo in tempi di recessione. E’ titolare di due ministeri, Sviluppo economico e Infrastrutture e Trasporti, che a loro volta sono il frutto di altri accorpamenti: nei tempi delle vacche grasse e della moltiplicazione delle poltrone il suo potere se lo spartivano almeno in cinque. Soldi in cassaforte pochi, quasi nessuno. E la crescita all’orizzonte non si vede. «Siamo nel pieno di una seconda recessione e questo trend, secondo tutte le agenzie internazionali, durerà tutto il 2012», parole sue. «Quindi è la conclusione acceleriamo le riforme per cercare di uscirne al più presto». La speranza, anche la sua, è che nell’ultima parte dell’anno si sia già in lieve recupero, così da entrare nel 2013 in crescita e non in caduta.
In tempi così e senza soldi da spendere il ministero per lo Sviluppo che mestiere fa? Cominciamo dalle cose fatte. La prima, in ordine di tempo, è nel Salva Italia: 5,5 miliardi di defiscalizzazione del costo del lavoro (Irap), 3 per l’assunzione di giovani e donne e 5,25 per favorire fiscalmente gli aumenti di capitale delle imprese (Ace), il tutto spalmato sul triennio 201214. La seconda, il rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia per i crediti alle imprese per 400 milioni, in grado di attivare crediti per 20 miliardi. La terza, il recupero e l’assegnazione, in tre Cipe diversi, di 22,5 miliardi per opere pubbliche, che consentiranno 6 miliardi di spesa effettiva quest’anno e altri 9 nel 2013. Il superministero ha inoltre cofirmato il decreto liberalizzazioni e quello sulle semplificazioni, nei quali ci sono un centinaio di norme che vengono solo dalla componente Infrastrutture e Trasporti.
Sono state avviate a risoluzione, in questi tre mesi e mezzo, vertenze complicate tra le quali Fincantieri, Termini Imerese e Alcoa, ed è stato fatto ripartire un ministero fortemente indebolito: «Quando sono arrivato dice Passera ho trovato tanta gente in gamba che però non era messa nelle condizioni di lavorare. Insieme a Mario Ciaccia abbiamo organizzato un unico gabinetto per Mise e Mit, riducendo del 40 per cento la spesa del personale e coinvolgendo alcuni giovani professionisti di spessore, che hanno fatto delle rinunce per partecipare a questa sfida. Ora c’è davvero un bel gruppo di lavoro, le cose funzionano».
Le cose da fare sono ovviamente assai di più di quelle fatte e Passera va sempre in giro con una cartellina plastificata celeste pastello con dentro il suo programma. «Un preciso piano di lavoro» dice «che ogni giorno andiamo riempiendo», con una filosofia: «Noi non facciamo la crescita, creiamo le condizioni perché avvenga». Ovvero rimozione degli ostacoli, essenzialmente, che da una generazione hanno bloccato l’Italia. Il programma ha tre grandi capitoli: competitività delle imprese, competitività del sistema paese, liberalizzazioni. Siamo all’inizio di un percorso fatto di tante tappe, tutte assai importanti.
La prima è quella dell’energia: costa troppo. La riduzione di quel costo è una delle chiavi principali per far ripartire gli investimenti interni e attrarre quelli esteri. Il caso dell’Alcoa, che ha deciso di lasciare il suo impianto per la produzione di alluminio in Sardegna, l’impianto più energivoro del Mediterraneo, è un banco di prova. La trattativa è andata a buon fine e la palla ora è nelle mani del sottosegretario Claudio De Vincenti, che ha la delega sull’energia e sul monitoraggio delle liberalizzazioni.
«Stiamo lavorando ad una strategia generale dice De Vincenti con l’obiettivo di ridurre il costo dell’energia che in Italia è consistentemente più elevato che nei paesi concorrenti». Il primo passo è chiarire perché costa di più, e le principali ragioni sono tre: «La prima che paghiamo il gas più caro che all’estero perché per il tipo di contratti di approvvigionamento il prezzo è molto connesso con quello del petrolio. La seconda è l’aumento del costo medio per kilowattora a causa di una situazione di overcapacity dovuta in parte alla flessione della domanda legata alla crisi economica e in parte al modo caotico con il quale si sono sviluppate le rinnovabili, che ha creato problemi di dispacciamento dell’energia. Il terzo è l’impatto che gli incentivi al fotovoltaico hanno sulle bollette che pagano famiglie e imprese». Individuati i problemi si tratta di passare alle soluzioni. «Per il gas spiega De Vincenti già nel decreto liberalizzazioni è prevista una progressiva deindicizzazione dal prezzo del petrolio per spostarsi su quello del mercato spot. Molto dipenderà dall’avvio della Borsa del gas alla quale stiamo lavorando. Altri passi sono il potenziamento degli altri sistemi di ingresso, come i gasdotti Galsi dall’Algeria e Itgi dalla Grecia, e soprattutto con i rigassificatori. Quelli di Gioia Tauro e Falconara sono approvati e cantierabili e altri due in corso di approvazione. Per il dispacciamento il piano di investimenti di Terna porterà ad una maggiore efficienza, mentre per gli incentivi stiamo lavorando ad una razionalizzazione che consentirà il completamento dei piani di investimento in corso e che spingerà le fonti di energia rimaste indietro e ridurrà l’impatto sulla bolletta». Le parole d’ordine date da Passera sono due: «Mai più casi come Brindisi (la Bp che ha rinunciato dopo oltre dieci anni di attesa delle autorizzazioni, ndr)» e «riforma del sistema delle rinnovabili pronta entro aprile».
La seconda tappa è quella degli incentivi alle imprese. In Italia ci sono 51 leggi, 40 delle quali fanno capo al superministero di Passera. E’ una stratificazione geologica inefficiente e dai costi amministrativi altissimi. Si sta scrivendo un provvedimento per abrogarne 20 e concentrare le risorse, più o meno 5 miliardi, su pochi strumenti automatici. Entro giugno il provvedimento vedrà la luce, con la speranza di recuperare qualche nuova risorsa dalla spending review. Contemporaneamente dovrebbe essere varata anche l’agenda digitale, per portare il paese in questo terzo millennio nel quale tarda troppo ad entrare.
La terza tappa è il rilancio delle infrastrutture. Il vice ministro Ciaccia si è messo al lavoro con una filosofia molto semplice: «Mai più annunci di stanziamenti ai quali non corrispondano soldi veri». Quindi i 22,5 miliardi del Cipe «sono soldi veri». La sua promessa è che tra quindici giorni sul sito del ministero ci saranno schede su ogni singola opera con l’indicazione dello stato della procedura o dei lavori. «Stanziati i soldi abbiamo costruito un gruppo di monitoraggio permanente che segue ogni procedimento e ogni cantiere. Se non cammina vogliamo subito sapere perché e rimuovere gli ostacoli». Ma questo è solo l’inizio. «Per riportare il paese a livello di eccellenza ci vogliono 100 miliardi in tre anni e 300 in dieci anni» dice Ciaccia, il cui obiettivo è rendere le infrastrutture italiane appetibili per i capitali privati, i fondi pensione, i fondi sovrani. «In questi 3 mesi e mezzo abbiamo varato 100 norme per semplificare le procedure, ridurre i tempi, dare certezze. Manca ancora qualcosa e con una delega ci proponiamo di completare e armonizzare il tutto in un testo organico. Perché per attirare capitali privati quello che serve sono certezze: su chi fa che cosa, sulle risorse pubbliche disponibili, sui tempi, sulla bancabilità dell’opera, sulla durata delle concessioni e, ultima ma più importante di tutte, la stabilità normativa».
Lo strumento per portare soldi privati su strade, ferrovie, porti e aeroporti italiani Ciaccia ce l’ha in testa, sono i project bond emessi dalle società di progetto su un’opera che ha già completato tutte le procedure, che è bancabile e che può ottenere la garanzia di istituzioni come la Bei, la Cdp o l’Unione Europea stessa. E chiaro è anche dove andranno convogliate queste risorse: «L’Italia è dentro 4 dei 10 corridoi europei, noi dobbiamo rendere percorribili quei corridoi, avere dei terminali efficienti, ovvero porti, aeroporti e interporti collegati in maniera funzionale e creare delle reti adeguate intorno a quei corridoi».
La quarta tappa è il trasporto locale. Oltre mille imprese sparse per l’Italia sono troppe e il servizio non è adeguato. Passera vuole ridurne il numero e renderle più efficienti in un’ottica di «aree ottimali». I primi passi sono stati già compiuti con il decreto liberalizzazioni e l’Agenzia per i Trasporti.
La quinta è una soluzione ai debiti scaduti della pubblica amministrazione, difficilissima per i vincoli di bilancio ma per la quale Passera ha promesso una soluzione entro fine anno.
Tanta carne al fuoco quindi, ma al momento c’è ancora un buco: la politica industriale. «Ci sono aziende che stanno attraversando una fase di ridefinizione strategica, come ad esempio Finmeccanica, che sembrano essere lasciate sole dice Stefano Fassina, responsabile economico del Pd rischiamo di sacrificare ad esigenze finanziarie immediate settori che potrebbero essere sviluppati». «C’è una difficoltà oggettiva e ci sono passaggi positivi, come quello dell’Alcoa dice ancora Fassina ma non abbiamo notizie che sia stata avviata una riflessione su queste cose».
La politica industriale in effetti non sembra essere nell’agenda Monti, il primo ministro dell’argomento non ha mai parlato e questo probabilmente pesa sulle scelte e le priorità del ministero per lo Sviluppo. Ma il problema resta. «La gestione dei tavoli di crisi è buona dice Marco Bentivogli della Cisl il ministero si fa rispettare. Ma nella maggior parte dei casi è una strategia difensiva, che salva il salvabile ma non apre la strada allo sviluppo. Stiamo sollecitando un tavolo di politica industriale sul settore ferroviario e su quello navalmeccanico, ma ancora non abbiamo risposte».Passera su questo aspetto non si è pronunciato. Ha dato una indicazione forte di orientare la ristrutturazione dei poli chimici in crisi verso la chimica verde, ma per il resto si possono fare solo deduzioni da due affermazioni che ha fatto più volte e da un segnale: «Noi non creiamo sviluppo ma le condizioni perché avvenga e perché il potenziale di crescita del paese aumenti» è la prima affermazione; «Le aziende non si lasciano andare ma prima si risanano» è la seconda. Il segnale è che ha chiesto agli uomini del ministero di dividere l’economia italiana in filiere, con l’idea di studiare progetti verticali, per singola filiera, da integrare con quelli orizzontali, che riguardano l’intero sistema. Vedremo.

Fonte: Affari e Finanza del 2 aprile 2012

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