• domenica , 24 Novembre 2024

Perchè torna la febbre da spread

Non è colpa dell’Italia questa volta se la crisi dell’euro torna ad aggravarsi.

Per lo più gli analisti di mercato considerano timida la riforma del mercato del lavoro, ma sempre un passo avanti; il documento interno della Commissione europea sui conti pubblici italiani rivelato da questo giornale non muta il quadro delle previsioni.

Avviene invece che l’instabilità della finanza torni ad esercitarsi sui difetti costruttivi dell’unione monetaria. Si prendono a pretesto motivi in parte opposti a quelli della fase precedente, in quella che il capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard, chiama «la schizofrenia dei mercati». E’ come se un medico, dopo aver prescritto a un paziente di dimagrire in fretta per diminuire il pericolo di infarto, ora gli dicesse che rischia perché si è indebolito.

Sotto tiro è al momento la Spagna. Più del ritardo nella riduzione del deficit, o dei difetti della nuova manovra di austerità (c’è un condono fiscale) i mercati paiono temere le conseguenze della recessione economica indotta dalle misure di austerità precedenti. Eppure, al prezzo di un forte aumento della disoccupazione, un risultato si è raggiunto: gli spagnoli hanno smesso di consumare più di quanto producevano, rimuovendo un importante fattore di squilibrio.
Quale è allora la scelta giusta? Sia rafforzare la stretta ai bilanci, sia allentarla, potrebbero accrescere la sfiducia. Nei suoi primi 100 giorni il centro-destra di Mariano Rajoy ha commesso diversi errori; ma questo non basta a giustificare il repentino cambio di umore dei mercati. Il più esile pretesto torna buono (in Italia dobbiamo stare attentissimi a non offrirne) per fare scommesse al casinò della finanza.
Se si vogliono evitare guai peggiori, alcune cose possono essere fatte. Che oggi nel mirino si trovi la Spagna aiuta a individuarle. Messe in difficoltà da una colossale «bolla» immobiliare, le banche iberiche hanno fatto ricorso massiccio alla liquidità della Bce, e l’hanno massicciamente impiegata (più di quelle italiane) nell’acquistare titoli dello Stato a cui appartengono.
Più che in altri Paesi dell’euro, in Spagna esiste il rischio di un circolo vizioso tra credibilità finanziaria dello Stato e credibilità delle banche. Sarebbe ora di riconoscere che un’unione monetaria si regge se la stabilità bancaria è centralmente governata. Altrimenti un giorno o l’altro i mercati potrebbero convincersi che qualche Stato non ha spalle abbastanza larghe per garantire le banche nazionali.
Su una proposta che abbracci tutta l’Europa a 27 si va a rilento. Il membro tedesco del direttorio Bce, Joerg Asmussen, suggerisce di limitarsi alla sola area euro. Lo scopo è di avere presto un sistema unico in grado di liquidare le banche decotte e garantire la solidità di quelle sane.
In questa chiave sarebbe inoltre opportuno abbandonare ogni pregiudizio nazionale sui gruppi di controllo delle banche. Da un punto di vista italiano, più il sistema sarà transnazionale meno il costo e la disponibilità di credito per le nostre imprese saranno legati allo spread dei titoli di Stato.
Se la Spagna appare fragile, è anche perché gli altri grandi Stati sono di nuovo presi ciascuno dai propri egoismi. Non giova che Nicolas Sarkozy per essere rieletto presidente prometta il pareggio di bilancio solo nel 2016, e che il rivale François Hollande non faccia meglio. Non giova che dalla Germania si continui ad assillare Mario Draghi con ansie di inflazione ingiustificate, per interessi di breve periodo dell’establishment tedesco. Tra due settimane, ai vertici internazionali di Washington, l’Europa rischia di fare di nuovo una brutta figura: tornare a chiedere appoggio dal Fmi senza essersi saputa prima aiutare da sola.

Fonte: La Stampa del 7 aprile 2012

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