L’Italia deve iniziare a pensare un po’ a se stessa
utilizzando i fondi messi a disposizione da Bee e Fmi.Come? Con una società di capitali che emetta obbligazioni e finanzi la crescita.
Il premio Nobel Paul Krugman va ripetendo con insistenza una tesi che è tabù per qualsiasi italiano che voglia provare a proporla; alle condizioni esistenti, l’euro è destinato al collasso. Il perché ciò debba accadere è stato oggetto di analisi in questa rubrica sulla scia della diagnosi dì Kenneth Rogoff. Visto che i gruppi dirigenti italiani sono sordi a ogni sollecitazione conviene ripetere i motivi per cui ciò potrebbe accadere: l’euroarea ha gravi difetti strutturali che permettono ad alcuni Stati membri dì crescere e causano in altri grave disoccupazione. Per risolvere questa anomalia occorrerebbe avere la perfetta mobilità del lavoro nell’euroarea o una politica fiscale compensativa o il ritorno ai cambi flessibili. Poiché nessuna di queste correzioni viene presa in seria considerazione e invece si pratica una politica deflazionistica, l’euro è destinato al collasso e l’Europa al suicidio politico. Guido Rossi ritiene che la tesi di Krugman paragoni l’euro a una reliquia barbara e anch’egli persiste nel rifiuto di considerare rilevante l’obiezione che l’euro è molto mal costrutto e molto mal condotto, ma non inutile e dannoso: un mercato unico richiede una moneta unica. Il problema è la costituzione errata dell’euro ed è curioso che questa obiezione non sia accolta dalla corrente di pensiero che considera i mercati rozzi e famelici, soprattutto quelli finanziari. Ben poco si può attendere da un’Europa siffatta, come pure dalle scelte del Fmi.
L’Italia deve pensare a se stessa e può farlo riprendendo in mano una situazione alterata dall’aumento delle tasse e dalla minaccia di imporne altre, anche sul patrimonio, per rispettare il fiscal compact. Le riforme, ammesso che riescano bene, portano crescita solo nel lungo periodo quando, come disse Keynes, saremo tutti morti. Anche se dall’estate scorsa la situazione è peggiorata, è ancora possibile riprendere il bandolo della matassa procedendo a un’operazione straordinaria sul debito pubblico. Il nostro suggerimento è che le banche, invece di comprare titoli di Stato con i fondi messi a disposizione dalla Bee, creino una nuova società con un capitale di 100 miliardi di euro, a fronte del quale emetterne 300 di proprie obbligazioni; i 400 miliardi così ottenuti vengono dati allo Stato in contropartita della cessione di patrimonio di 400 miliardi, che sarà oggetto di una valutazione successiva sul suo effettivo valore. Lo Stato provvede a rimborsare 400 miliardi di titoli pubblici restituendo al mercato quello che ha dato, con effetti neutrali sul potenziale di credito per le imprese. I 20 miliardi di oneri finanziari risparmiati possono essere destinati il non tassare le prime case e a detassare il lavoro. Se, a seguito eli questo stimolo fiscale di oltre un punto percentuale di Pil, la domanda interna si riprende, vi saranno seri motivi per sostenere che, ai fini della crescita, nel breve periodo la manovra sulla domanda è più importante di quella sull’offerta, ossia le riforme. Questo non esclude che queste debbano essere fatte, ma che debbono essere oggetto di un’azione più riflessiva e non ricattatoria, ridando al governo il consenso che va perdendo. Il Successo di questa operazione consentirebbe di portare il rapporto debito pubblico/Pil da 120 a circa 96, perché beneficerebbe anche dell’aumento del denominatore a seguito della crescita non solo nominale del Pil. Inutile negarlo, l’operazione trova ostacoli sul piano politico, non tecnico, per non attuarla.
Lo scontro in atto in Europa è quello che da secoli divide gli economisti e la politica: occorre affidare al mercato o allo Stato il compito di intervenire per correggere gli andamenti deflazionistici? È diffusa la coscienza che i mercati, soprattutto finanziari, non funzionano come dovrebbero per dare ragione ai liberisti e quindi occorre intervenire politicamente, Se però si sostiene che prima si fanno le riforme di struttura e solo dopo si può dedicare attenzione alla crescita, la caduta produttiva e dell’occupazione si incorpora nei fatti e nelle aspettative rendendo inefficaci anche le rifanne. Se si entra in deflazione a causa dell’«austerità distruttiva», sarà molto difficile, se non impossibile, riportarsi sul sentiero della crescita.
Per ripartire serve un’operazione speciale sul debito
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