Ha ben ragione Curzio Maltese( Repubblica, 25 maggio) nello smascherare i trucchi escogitati dai partiti per eludere qualche norma limitatrice della vorace bulimia partitica a carico delle varie forme di finanziamento pubblico della politica. L’ unica buona cosa della nuova legge dovrebbe alla fine risultare (anche se non è detto) dal dimezzamento dei rimborsi elettorali. Il secondo trucco risiede nel rendere fiscalmente più che convenienti i finanziamenti privati nei confronti di quelli pubblici. Il terzo marchingegno (togliere i fondi a chi non ha uno statuto di partito – vedi i “grillini” – ) è semplicemente una forma di autogol. Vale la pena proseguire in questa squallida casistica o tentare di riproporsi l’ interrogativo di fondo sul dilagante processo di corruzione della vita politica italiana? Perché se non rispondiamo sulle ragioni, sul come e su quando una simile infezione ha cominciato a prendere piede, non saranno le panacee applicate lì per lì a lenire la piaga. Ora, alla base di tutto, vi è la trasformazione di una nomenclatura innervata fino a cavallo degli anni Settanta nel militantismo politico cattolico, comunista e socialista, che aveva trovato il suo equilibrio in una spartizione del potere più o meno automatica (manuale Cencelli) ma pur sempre sublimata da un impegno partitico vidimato da vertici riconosciuti, accettati e chiaramente riconoscibili, se non da quella pozzanghera sporca che tutti li marchia, fin dal primo vagito. A tutto questo ha fatto seguito, attraverso progressivi slittamenti, un amalgama confuso e privo di valori distintivi. Scomparsa la Dc, dissolto il Psi, evaporati i partiti minori, soggetti a ricorrenti mutazioni botaniche o semantiche (Quercia, Ulivo, Cosa 1 e Cosa 2) ciò che restava di un mondo politico che aveva occupato per decenni l’ attenzione internazionale sotto l’ egida del Pci, si è disgregato in un carnevale ridicolo e impudico, recitato su copioni ormai spogli di ogni autoidentificazione. La comparsata al proscenio di “partiti di passaggio”, battezzati su qualche predellino, non ha salvato neppure la memoria storica di antiche sigle, un tempo gloriose. Nemmeno gli “ex” (fossero riformisti o craxiani, “miglioristi” o “rifondaroli”) hanno trovato lo spazio pietoso del ricordo. Eppure siamo pronti a scommettere che questa generale scomparsa dei partiti non corrispondea una totale fame di assenza quale risulterebbe dalla nostra denuncia e, ancor più, dalle molteplici forme assunte dall’ anti politica. Crediamo che il bisogno di un nuovo affaccio su un panorama attraente e non sul déjà vu resti forte nella fantasia di chi anela a nuove forme di democrazia diretta, ad un partito che accenni come l’ araba fenice a rinascere dalle sue ceneri, a presentarsi davvero contendibile e non sottraibile dai faccendieri di lungo corso e di poco fiato. Se qualcuno se la sente di differenziarsi nettamente dagli altri, in primo luogo ripudiando ogni forma di finanziamento spurio, cominciando a farne un motivo di lotta fin dal prossimo Parlamento non è detto che la scommessa sia perduta. Certo, non presentandosi con vecchi compiti che neppure il più diligente degli alunni ha più voglia di recitare a memoria, così il buon Bersani la smetta di riproporci la parte del direttore di una Coop emiliana, incerto tra una forma di culatello ed una di parmigiano. Non c’ è bisogno di guastarsi il gusto con le spezie vecchie di Grillo. Anche a Reggio e Modena sanno riconoscere un buon piatto di tortellini.
Fonte: Repubblica del 28 maggio 2012I partiti piu’ si somigliano piu’ sono corrotti
Maggio 28th, 2012
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L'autore: Mario Pirani - Socio alla memoria
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