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Per le famiglie un bilancio in pari

Un pochetto di equità, un pochetto di rilancio. Monti ha cercato di usare i margini di manovra di cui disponeva, che sono modesti. All’origine c’è un duplice movente politico: mostrare che non è cieca l’austerità a cui dobbiamo sottoporci, raccogliere indignazione contro gli sprechi proseguendo la revisione della spesa pubblica.
Le misure scelte una loro logica economica ce l’hanno.
E’ falso che si tratti di una «nuova manovra depressiva» perché le grandi cifre dei conti pubblici restano le stesse; mutano gli addendi nel tentativo di migliorare il risultato. E’ vero invece che occorre domandarsi – come stimola a fare l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale – se in questa crisi tutti i governi non stiano eccedendo nelle medicine amare. Purtroppo non è un problema che l’Italia possa affrontare da sola.
Grazie ai tagli alle spese che appaiono possibili, il nuovo rialzo dell’Iva l’anno prossimo – già previsto da leggi in vigore – avrebbe potuto essere evitato. Il governo ha scelto invece di aumentare l’Iva di un punto sgravando nel contempo l’Irpef. Si intende segnalare che qualche imposta può anche muoversi al ribasso, pur se in misura minima. Di certo calando l’Irpef si allevia la tensione tra imprese e sindacati sul costo del lavoro.
L’aumento dell’Iva al 22% non sarà ovviamente gradito; pur se è bizzarro che protesti chi l’aveva alzata al 21%. Tuttavia occorre tenere conto che un’Iva più alta in una certa misura favorisce le esportazioni, sulle quali non grava. Insomma al punto di vista delle famiglie i conti sono grosso modo in pari – un po’ più di denaro in busta paga, prezzi un poco più alti – mentre dal punto di vista del sistema produttivo il risultato potrebbe essere benefico.
Inoltre c’è un aspetto di equità. Si ridisegna l’Irpef rendendola più progressiva, meno pesante per lavoratori e pensionati a basso reddito. Compare da subito l’imposta sulle transazioni finanziarie, ovvero quella «Tobin tax» da quindici anni cavallo di battaglia della sinistra; altre misure colpiscono banche e assicurazioni.
Certo alleggerire l’Irpef non dà nulla agli «incapienti», ovvero quei cittadini troppo poveri per pagare imposta sul reddito. Ma non pare bello che si ricordi di loro adesso chi finora cercava soprattutto di ripristinare la pensione a 57-58 anni. Oppure, si poteva far di più con i proventi della lotta all’evasione fiscale? No: stando ai dati, le meritorie iniziative del governo Monti (a cominciare da Cortina d’Ampezzo) sono solo riuscite ad evitare che nella crisi l’evasione crescesse ancora, reazione spontanea di un Paese negli anni precedenti abituato all’impunità.
Nello stesso tempo, è vero che l’accelerato risanamento dei conti pubblici continua a provocare effetti recessivi profondi; assai più profondi di quanto le dottrine economiche in voga prevedessero, ci dice ora il Fmi. Ma è un circolo vizioso mondiale: un sistema finanziario instabile prende a bersaglio gli Stati indebitati specie se li vede guidati da governi poco credibili; l’austerità che ne consegue diminuisce la fiducia dei cittadini nei loro governi e rende i Paesi ancora più instabili.
Il debito pubblico va ridotto. Ridurlo più lentamente, per evitare danni, si potrà se tornerà la fiducia: in banche ben sorvegliate, in governi capaci di progettare il futuro. Per l’Italia, che da sola non può sfidare i mercati, l’aiuto principale potranno darlo istituzioni dell’area euro più forti e solidali; la strada giusta è stata imboccata nell’estate e si tratta di proseguirla. Intanto però, in casa, meglio astenersi da eccessive promesse elettorali.

Fonte: La Stampa 11 ottobre 2012

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