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Il patto violato

IL 27 luglio del 2000 la Gazzetta Ufficiale pubblicava una legge che aveva avuto una lunga e tormentata gestazione: lo Statuto dei diritti del contribuente. Nel paese degli evasori fiscali il rapporto tra fisco e cittadini aveva sempre somigliato a uno di quei vecchi film del tipo “La città è violenta, la polizia spara”, che avevano invariabilmente per protagonista un commissario guidato dal motto “il fine giustifica i mezzi”, e pazienza se questo comporta la violazione di leggi e principi da cui non può prescindere l’organizzazione di una società civile.
Lo Statuto, che concludeva un percorso durato oltre un decennio, aveva lo scopo di introdurre anche nel rapporto tra fisco e cittadini alcuni principi di base fissati in vari articoli della Costituzione. Per esempio che per tassare ci vuole una legge, approvata dal Parlamento (no taxation without representation); che non si possono manovrare a piacere i termini di prescrizione; che non si devono irrogare sanzioni se il problema deriva da ritardi dell’amministrazione o da una palese incertezza della legge.
Tra queste disposizioni una di quelle considerate più rilevanti, tanto da essere collocata all’articolo 3 subito dopo l’enunciazione dei principi generali, è la non retroattività dei provvedimenti fiscali: “(…) Le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”. E’ un principio analogo a quello
da sempre in vigore nel codice penale: nessun atto può essere considerato reato se è avvenuto prima dell’emanazione della legge che lo vieta e la legge non può avere effetto sul passato. E’ un ovvio principio di civiltà che distingue la legge dall’arbitrio.
Le regole fiscali influenzano i comportamenti economici: deciderò di fare una cosa piuttosto che un’altra anche in base a un calcolo di convenienza sul trattamento fiscale di una data attività.
Le modifiche sulle detrazioni 1 contenute nella Legge di stabilità varata dal Consiglio dei ministri violano doppiamente il principio di non retroattività. Non solo entrano in vigore nel periodo d’imposta in corso, cosa che, come si è appena ricordato, contrasta con le lettera della legge. Ma ne violano anche lo spirito, perché il limite di 3.000 euro stabilito come massimale per le detrazioni avrà un impatto su decisioni prese in passato sulla base delle convenienze fiscali allora in vigore. Ci sono detrazioni che prevedono un ammortamento a rate, fino a dieci anni. Imporre quel limite significa eliminarle in tutto o in parte: anche questa, dunque, è una disposizione che ha effetto retroattivo.
Che il sistema tributario italiano contempli una giungla di detrazioni – la commissione Ceriani ne ha contate oltre 700 – che va radicalmente disboscata è senz’altro un obiettivo condivisibile. Ma questo non significa che si possa tranquillamente violare il patto, sancito anche dalla legge, tra fisco e cittadini.

Fonte: Repubblica del 12 ottobre 2012

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