• sabato , 23 Novembre 2024

Dismissioni il lato debole della legge di stabilita’

Con le elezioni sempre più vicine, la legge di stabilità sta diventando il detonatore di molte tensioni e divergenti vedute all’ interno della ‘ strana maggioranza’ che sostiene il governo. Il problema è gestibile, grazie anche alle aperture del governo, che si è dichiarato pronto a riconsiderare l’ impianto della manovra fiscale – invero, in alcuni aspetti piuttosto infelice. Ma è anche il segnale che gli spazi di agibilità politica si sanno restringendo rapidamente; resta poco tempo, occorre concentrarsi su quel che si può realisticamente pensare di portare a compimento. Massima è l’ urgenza di assicurare la piena attuazione delle misure riformatrici decise nell’ ultimo anno, in parte notevole ancora da completare, perché vi sono grandi dubbi sulla volontà di mantenerle dei possibili vincitori alle prossime elezioni. Nel valutare la legge di stabilità, va segnalato, anzitutto, che essa sfrutta i margini di flessibilità negoziati da Monti al Consiglio europeo sull’ indebitamento della P.A. segue a pagina 10 Che infatti nel 2013 aumenta di quasi 3 miliardi rispetto al precedente Documento di Economia e Finanza (Def), mentre resta invariato nei due anni successivi. Il Consiglio europeo ha accettato di riferire l’ obiettivo del pareggio ai saldi “strutturali” di bilancio, corretti cioè per l’ andamento del ciclo economico, al momento fortemente negativo, e ha aperto anche qualche margine ulteriore per la realizzazione di investimenti “di valore europeo”: due risultati importanti che sarebbero stati impossibili senza la credibilità conquistata da Monti e dai suoi ministri sulla scena europea. La legge di stabilità conferma gli obiettivi di aumento dell’ avanzo primario di bilancio – previsto salire fin quasi al 5 per cento nel 2015 – come la strada maestra per l’ abbattimento del debito pubblico; le cessioni di partecipazioni e attività immobiliari possono svolgere un ruolo complementare per accelerare le discesa del debito, nei limiti già indicati dal ministro dell’ economia, ma non offrono rapide scorciatoie. L’ effetto delle dismissioni di attività patrimoniali sull’ economia sarà tanto più positivo in quanto si riesca finalmente a liberare quelle attività dal controllo soffocante di impropri interessi politici e sindacali nella loro gestione; da questo punto di vista l’ utilizzo dilagante della Cassa Depositi e Prestiti come ponte verso il mercato lascia qualche dubbio sulla effettiva volontà di procedere fino in fondo nelle privatizzazioni. Buono mi era apparso il segnale fornito con lo spostamento dei carichi tributari dalle imposte dirette alle imposte indirette. E’ ben noto, infatti, che il nostro paese grava in maniera esagerata d’ imposte i redditi personali e d’ impresa, mentre il gettito delle imposte indirette resta molto al di sotto di quello registrato negli altri paesi della Ue. Il rapporto recente della missione di assistenza del Fondo Monetario, venuta in Italia per valutare la legge delega fiscale, stima questa perdita di gettito potenziale in 8 punti percentuali di pil – avete letto bene, sono 8 punti – dovuti per circa la metà alla proliferazione di trattamenti preferenziali, con le aliquote ridotte (10 per cento) e super-ridotte (4 per cento), e per l’ altra metà alla piaga dell’ evasione. Dunque, per la ricomposizione del gettito si sarebbe potuto puntare con più decisione sull’ eliminazione dei trattamenti preferenziali, sempre in attesa di risultati più consistenti nella lotta all’ evasione. L’ aumento delle aliquote su alcuni generi di necessità dovrebbe essere compensato con trasferimenti monetari diretti alla vasta platea degli incapienti, che non beneficiano delle riduzioni delle aliquote delle imposte dirette. Anche la manovra sull’ imposizione diretta lascia perplessi: una decisa semplificazione della giungla di detrazioni e deduzioni è desiderabile, ma è possibile solo a fronte di una riduzione anche più decisa delle aliquote gravanti sui redditi più bassi, con effetti netti di riduzione del prelievo che al momento non sono fattibili. Dissipare vari miliardi per una riduzione modestissima dei carichi fiscali sui redditi più bassi, di cui i beneficiari neppure si accorgerebbero, e raschiare al contempo risorse preziose dalle detrazioni familiari o per i disabili, appare veramente come un’ idea poco saggia. Meglio lasciar perdere, come già molte voci in Parlamento suggeriscono. Piuttosto, se vi sono margini per riduzioni, si dovrebbero concentrare sulla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, in particolare sulla detassazione del salario negoziato a livello aziendale in cambio di miglioramenti di produttività (escludendo, dunque, gli straordinari); questo beneficio dovrebbe essere reso permanente e non essere più limitato da limiti di importo o di reddito. Ne sarebbe favorita anche l’ occupazione. La legge di stabilità contiene molte utili misure di contenimento della spesa pubblica, nella direzione già aperta dalla spending review. Sempre che il Parlamento non la stravolga con il ripristino delle pensioni di anzianità: attività alla quale lavorano alacremente i parlamentari di tutti i partiti nella Commissione lavoro (solo l’ onorevole Cazzola si astiene, ne abbia merito). Per conseguire risultati duraturi, non bastano blocchi temporanei di spesa, perché vi è il rischio di forti rimbalzi alla scadenza dei provvedimenti; dunque, occorre modificare i meccanismi di spesa, cosa che finora è stata solamente avviata. L’ ipotesi, poi abbandonata, di escludere il pagamento dell’ indennità di vacanza sui contratti del pubblico impiego, congelati dopo anni di irresponsabili incrementi, dovrebbe essere ripresa in considerazione. Suscita preoccupazione anche la tendenza delle amministrazioni locali colpite dai tagli nei trasferimenti a reagire comprimendo l’ offerta di servizi, invece che riducendo i costi degli apparati, e aumentando le imposte locali. Secondo alcune stime, almeno la metà dei minori trasferimenti si sarebbe tradotta in aumenti d’ imposta, che naturalmente comprimono ulteriormente l’ economia. Non sarebbe tempo, invece, di chiudere le sedi all’ estero delle Regioni, vendere i faraonici palazzi, ridurre il personale assunto per scopi clientelari nelle aziende pubbliche locali, spesso ridotte proprio per questo sull’ orlo del fallimento? Può aiutare, al riguardo, l’ accelerazione dell’ applicazione dei costi standard alla spesa sanitaria e alle attività di regioni province e comuni – fissando anche standard di prestazione per difendere la qualità dei servizi prestati ai cittadini. Infine, sarebbe molto utile inserire nella legge di attuazione delle nuove norme costituzionali introdotte a seguito del Fiscal Compact il divieto di ripiano dei disavanzi delle regioni e delle amministrazioni locali contratti in violazione del patto di stabilità interno: la garanzia ultima che gli amministratori locali cessino finalmente di distribuire risorse che non hanno, lasciando grandi buchi di bilancio in eredità ai successori.

Fonte: Affari e Finanza del 29 ottobre 2012

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