Riequilibrare i conti pubblici e restituire credibilità internazionale all’Italia. I suoi due obiettivi fondamentali il governo tecnico li ha centrati. Adesso però l'”agenda Monti” per il prossimo governo è riuscire dove Mario Monti ha fallito.
DARE UN SOGNO AGLI ITALIANI. Hanno pagato l’Imu (24 miliardi di euro, l’1,5 per cento del Pil), l’imposta di bollo sui conti finanziari, le addizionali. L’età della pensione si è allontanata e l’importo dell’assegno Inps si è ridotto. I consumi sono tornati al livello di 15 anni fa. La disoccupazione è esplosa. Gli italiani hanno dato, e parecchio. Ma la fine della quaresima non si intravvede. Il governo Monti non ha fatto promesse: c’è la recessione e ci sono i conti da aggiustare, poi si vedrà. Ogni tanto lampeggia una «luce in fondo al tunnel». Ma poi scompare nel buio di statistiche sempre più scoraggianti. Gli italiani navigano a vista senza sapere se e quando il Pil e i consumi torneranno a crescere, la lotta all’evasione darà frutti tali da consentire un abbassamento della pressione fiscale su chi paga le tasse, una vera spending review (fatta ministero per ministero, credendoci davvero e non con i tagli lineari) permetterà di ridurre le imposte, gli investitori stranieri torneranno in Italia perché il quadro normativo, la burocrazia, i costi la rendono interessante. Il declino è una realtà da 12 anni, la ripresa è ormai un sogno più che una speranza. Ma la politica deve far sognare, senza illudere con promesse che sa di non poter mantenere.
FINIRE IL LAVORO. Non c’è dubbio che Monti ha fatto tanto: molte tasse, alcuni tagli di spesa (uno importante sulle pensioni, poi sanità ed enti locali), riforme più o meno riuscite (lavoro, sviluppo, semplificazioni, agenda digitale, liberalizzazioni). Il guaio è che non sempre basta approvare la legge: occorrono i provvedimenti attuativi (decreti ministeriali, regolamenti). E su questo fronte il governo tecnico è clamorosamente in ritardo come è stato documentato dal “Sole 24 Ore”: su 482 provvedimenti necessari per rendere operative le manovre varate da dicembre scorso fino a questa estate, risultano predisposti 90 regolamenti, il 18,7 per cento; mancano 392 atti, di cui 218 già in fase di elaborazione. Perché le leggi non rimangano dunque lettera morta serve uno sforzo supplementare: tocca ai ministri evitare che i burocrati, con
la loro melina spesso interessata, vanifichino il lavoro fatto.
IMBRACCIARE IL LANCIAFIAMME.
Il governo tecnico non ha avuto abbastanza coraggio. Su molti fronti. I costi della politica, innanzitutto, anche se in teoria l’iniziativa spettava alle Camere. La riduzione del numero dei parlamentari, per esempio, è stata archiviata. L’abolizione delle province (se non ora, quando?) è stata ridotta a un dimezzamento senza costrutto. Che non è nemmeno arrivato in porto. La debolezza verso alcuni centri di potere è venuta fuori nella partita delle nomine. Se alla Rai l’operazione rinnovamento si può considerare riuscita, la gestione del caso Finmeccanica è stata pessima. Tanto che il plurintercettato Giuseppe Orsi ormai resterà al suo (duplice) posto fino a dopo le elezioni. Per non parlare della patetica sceneggiata sulla nuova authority dei trasporti, paralizzata prima dalle ambizioni dell’imperituro Pasquale De Lise e tuttora non avviata per assenza di vertici (sempre comunque lottizzati). Ecco, un governo veramente di rottura non può affrontare questi potentati con le pistole ad acqua. Deve imbracciare il lanciafiamme, fare pulizia, senza guardare in faccia a nessuno. Solo nell’interesse dell’Italia e del suo sistema produttivo.
Un’agenda per l’Italia
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