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Come arrestare la deriva

I conti che non tornano.
Piccola (ma densa) ricetta partendo dalla ridefinizione del ruolo dello Stato.
Dal 2007 al 2012 il pil italiano è sceso del 7,3%, mentre quello tedesco è salito del 3% e quello del Brasile del 17,5%. La causa di questa crisi è che i Paesi Bric hanno imparato a produrre quello che fino a poco fa solo l’Occidente sapeva produrre e che il loro costo del lavoro varia dal 7 al 20% di quello italiano. La crisi ha una componente ciclica dovuta all’aumento delle imposte e dei tassi reali di interesse. La lentezza con la quale i Bric hanno imparato a gestire le loro economie ha contribuito a far durare più a lungo la crescita dei livelli di vita della classe lavoratrice italiana. Fino al 1991 anche i regimi comunisti di tanti paesi ci hanno favorito facendo sì che i prezzi delle materie prime rimanessero bassi.
Con salari nei Bric così bassi, per far ripartire la crescita da noi ci sarebbe bisogno di misure drastiche e quasi rivoluzionarie. Il mondo occidentale potrebbe rinunciare alla libertà dei commerci con i Paesi Bric, ma ciò sarebbe improponibile per svariati motivi. L’Italia dovrebbe ridurre in modo consistente il costo del lavoro, rendere il Paese molto più ospitale per gli investimenti dall’estero, ridimensionare drasticamente il ruolo dello Stato nell’economia e favorire lo spostamento di risorse produttive verso i nostri settori di punta in termini di competitività estera, come i prodotti del lusso, alcuni prodotti agricoli, il turismo culturale e l’ospitalità in immobili storici.
Il costo del lavoro è il rapporto fra salario, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, e la produttività del lavoro. Le componenti sono quindi tre. Su tutte e tre governo, sindacati e imprese devono intervenire drasticamente. A livello aggregato la produttività dipende anche dallo spostamento delle risorse produttive verso i settori di punta. I governi italiani hanno sempre ostacolato questo spostamento e ciò vale anche per il governo Monti, mentre la Germania ha fatto tantissimo per favorirlo.
Circa le imposte, la teoria economica ha considerato importanti fin dai tempi di Smith e Ricardo il grado di «traslazione delle imposte» sul salario nominale e la qualità della spesa pubblica nel determinare il grado di traslazione ( si veda Smith and Ricardo on the Long-Run Effects of the Increase of Government Expenditure, Taxation and Public Debt: is their theory relevant today?, History of Political Economy, 1989). Nel dopoguerra i lavoratori e i sindacati italiani hanno traslato sul salario in misura consistente anche le imposte indirette e quelle sulla casa, perché attribuiscono poca utilità alla spesa pubblica. A ciò hanno contibuito anche l’elevata corruzione, un po’ di connivenza con la criminalità e la inefficienza della giustizia e della sanità. Ne segue che governo e Parlamento devono tagliare drasticamente la spesa pubblica e le imposte e non limitarsi a operazioni piuttosto cosmetiche come quelle della spending review in corso. Andrebbe completamente ripensato il ruolo dello Stato nell’economia e nella società, restringendo i suoi compiti a quelli strettamente classici (istruzione, giustizia, difesa, salvaguardia del patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico). Ciò che dico non vale per tutti gli Stati, ma vale certamente per quelli che, come l’Italia, non sembrano nemmeno capaci di gestire un negozietto di frutta e verdura. Il programma dovrebbe essere decennale. Se credibile, drastico e vincolante anche per i governi futuri porterebbe fin da subito ad una ventata di aria fresca, a forti investimenti dall’estero e a una crescita economica che non si vede da anni. Ma va firmato un accordo decennale con Fmi, Bce e Ue, che dovrebbe includere: a) una lotta senza quartiere a corruzione e criminalità organizzate ; b) misure che agevolino lo spostamento di risorse verso i settori di punta; c) una profonda revisione del rapporto fra stato e contribuente, da basare sulla fiducia; d) la chiusura di Equitalia; e) un accorpamento e una completa riorganizzazione delle troppe forze di polizia, con la chiusura della Guardia di Finanza; f) il merito come unico elemento di valutazione in concorsi pubblici e avanzamenti di carriera; g) il trasferimento allo Stato di poteri come turismo, salvaguardia del paesaggio e valorizzazione degli immobili storici. Nel 1960 il rapporto spesa pubblica-Pil era da noi il 30%, oggi è pari al 50%, mentre in Brasile è del 35% e in Colombia del 23%. In Brasile l’aliquota marginale più alta sui redditi delle imprese e delle persone fisiche è il 27,5%. La strada da fare è quindi molto lunga, ma è l’unica percorribile per Salvare l’Italia dal declino, dalla disoccupazione e dal soffocamento dell’iniziative privata e della libertà individuale.

Fonte: Il Mondo del 18 gennaio 2013

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