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Il bello e il brutto della vittoria “a 5 Stelle”

Ora che Beppe Grillo ed il Movimento Cinque Stelle ( M5S) hanno trionfato, unici , alle elezioni politiche, sembra partita in vasti settori del Paese la corsa a salire sul carro dei Grillini vincitori, a raccontarne ammirati le gesta e la purezza, a copiarne il modo di far politica, a compulsare ed apprezzare le loro proposte.
E’ vero infatti che l’elettore ha sempre ragione e dunque occorre ascoltarne la voce, soprattutto se così fortemente espressa. Ma è anche vero che la ragione e la riflessione non possono cedere il passo all’emozione, sicchè dal voto che ha premiato il M5S va colto ciò che c’è di buono e rigettato senza tentennamenti tutto il resto.
La questione è , ovviamente, come individuare il buono che c’è, secondo un criterio oggettivo che non risponda alle inclinazioni politiche ideologiche di ognuno di noi ma all’interesse del Paese.
Il punto di partenza per una valutazione oggettiva dovrebbe essere il lavoro. Esaurito l’effetto ammortizzatore della Cassa integrazione in deroga, il Paese ha visto crescere la disoccupazione negli ultimi 2 anni poderosamente dall’8% all ‘11,7% , con un aumento nei soli ultimi dodici mesi ( gennaio 2013 su gennaio 2012) del 22,7%. Ciò significa che, se anche la crisi ha indotto i cosiddetti “scoraggiati”, a scendere in strada per cercare un lavoro più che nel passato ( +0,7%) , ciò non è bastato ad arginare la sofferenza più grave che un’economia ed una società possono mostrare, quella dell’aumento dei senza lavoro che ora hanno raggiunto il numero di 3 milioni.
E’ un dato sorprendente ? Niente affatto. C’è da chiedersi, se mai, come potrebbe accadere il contrario di fronte ad un Paese che entra nel suo quinto anno di crisi consecutivo e nel terzo di riduzione della ricchezza e della produzione.
Se dunque è il lavoro il punto da quale partire per verificare la presenza di novità positive nelle proposte M5S, basta spulciare il programma per capire che lì, fra le mille righe prodotte dalla democrazia in rete di Grillo e del suo alter-Guru Casaleggio, la questione è risolta in modo un po’ naif, con una politica che punta all’economia “dolce”, alla “decrescita felice”, quasi a prender atto che, poiché la crescita economica è difficile da raggiungere e perfino dannosa, basta abbassare le aspettative di ognuno di noi, consumare meno, accontentarsi di più, spegnere le luci, riscaldarsi con un maglione , tornare all’autosufficienza agricola, smontare le sovrastrutture del consumo che generano le aspettative crescenti e, con un po’ di tempo e di pazienza, tutto si risolve.
Ebbene provi Grillo a calmare le rabbia di un disoccupato licenziato dall’azienda che chiude per la decrescita dei consumi. Provi a spiegarlo al giovane che bussa alle porte dell’impresa senza ordinativi. Provi a convincere la precaria di un call center in cui il crollo delle “Call” determina la chiusura del “Center”. Chieda a tutti costoro se la decrescita, o come più esattamente si chiama, “recessione”, li rende felici ed avrà direttamente da loro la risposta. La decrescita non è felice, ma drammatica per ognuno di quei 3 milioni di disoccupati che di rabbia ne hanno tanta quanta ce n’è nei Grillini.
Ma allora dov’è il buono del successo dei Grillini?
I “Grillini” sono difficili da catalogare. Sono, socialmente, professionalmente e politicamente molto eterogenei. C’è la precaria e il plurilaureato, la casalinga e il prepensionato, il disoccupato e la maestra, l’ignorante ed il colto, il violento e la pacifista il No Tav ed il No Tax. Non esiste un collante ideologico che li unisce ma solo la rabbia e il rigetto per la classe politica, senza distinguo, senza varianti. Che sia corrotta o onesta, capace o inetta, generosa o avida, per loro non fa differenza; è l’appartenenza alla “casta” che, ai loro occhi, la rende antropologicamente orribile e politicamente da cancellare. E’ la politica come professione, come dispendio di denaro pubblico, la politica come soggetto che impone tasse, imposte e tagli, ma a se stessa riserva prebende, privilegi e intoccabilità, la politica come ceto burocratico inamovibile ed autoprotetto, vecchio e chiuso in se stesso che catalizza la rabbia dei Grillini e li aizza al colpo di ramazza indistinto.
Ebbene c’è qualcuno che potrebbe dar loro torto per intero? O sostenere che la politica è esattamente l’opposto di ciò che essi vedono? O c’è del vero nella furia contro l’Italia dei privilegi e delle corporazioni? Teste ragionevoli potrebbero naturalmente argomentare, distinguere, selezionare, ma ogni epoca ha i suoi tempi. C’è un tempo per ragionare ed un tempo per agire. Ed è indubbio che la classe politica , soprattutto e finanche nell’ultimo anno di governo tecnico, abbia perso entrambe le occasioni, sia per ragionare che per agire.
Ecco dunque il messaggio positivo che va colto dal trionfo di Grillo e dei suoi. Un messaggio di cambiamento, di ricambio accelerato, di innovazione, anche generazionale che è tutt’altra cosa che prendere strumentalmente pezzi di Programma a Cinque Stelle ed inserirlo in un governicchio qualsiasi pur di consentire a Bersani di andare a Palazzo Chigi.
L’errore che va evitato dunque è trattare il M5S come un qualsiasi partito con il quale trattare, prendendo qua e là punti del programma, con avances, compromessi e poltrone avvolgendolo nelle lusinghe della politica politicante e tralasciando l’urgenza di rinnovamento che invece esprime.
Questa urgenza va invece colta con una proposta che dia la percezione a quella metà di italiani fatta di grillini ed astensioni, che il volto rugoso di una certa Italia e delle sue vecchie e paralizzanti istituzioni può davvero cambiare.
Bruno Costi

Fonte: 28 febbraio 2013

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