Ieri la Repubblica italiana ha subito un attentato. Che il protagonista, sulla cui controversa biografia sapremo di più nei prossimi giorni, sia un disoccupato e che tutto ciò avvenga nel pieno di una pesantissima recessione non cambia segno e natura del gesto criminale. Il «disagio sociale» non giustifica neanche per un momento le pallottole esplose contro due fedeli servitori dello Stato. Le preoccupazioni, indubbiamente, aumentano se si pensa che nel giro di pochi mesi episodi analoghi si sono verificati in provincia di Padova e a Perugia, dove è stato aperto il fuoco nei confronti di un direttore di banca e di alcune impiegate della Regione Umbria.
In tutte e tre gli episodi i protagonisti si sono dichiarati vittime della Grande Crisi ed esacerbati dalla stretta creditizia, dalle ingiustizie dell’amministrazione o dalla disoccupazione. Il facile ricorso alle armi ci deve però indurre a capire se non si stia producendo un’americanizzazione strisciante della nostra società. La ripetizione di gesti isolati ed eclatanti che puntano a spargere sangue innocente. Assomigliare agli Stati Uniti in questo caso non rappresenterebbe certo una novità rassicurante, segnerebbe una discontinuità di cui sarebbe bene occuparsi.
Al di là però dei raffronti e della necessità di scandagliare gli umori profondi della nostra comunità, è evidente che cinque anni di pesante crisi hanno scavato come una talpa sotto la superficie della coesione, hanno minato antiche e consolidate sicurezze, hanno raffreddato le esigenze di mobilità e rinnovamento dei giovani e ci stanno consegnando un Paese lacerato e inevitabilmente incattivito. In giorni drammatici come ieri lo scoramento prende facilmente piede e nel gesto omicida di un uomo pensiamo di rintracciare la fotografia a grandangolo di una società. Fortunatamente non è così, è una distorsione ottica che sarebbe bene che non diventasse una distorsione mediatica.
Oggi è lunedì e milioni di persone in Italia apriranno le loro aziende, raggiungeranno il loro posto di lavoro, offriranno i loro servizi ad altri cittadini. Con la loro normalità dimostreranno che non tutto è compromesso, che una delle maggiori economie d’Europa possiede ancora il ritmo del suo funzionamento, conosce i suoi diritti e i suoi doveri, non ha abdicato. E però è proprio nei confronti di questa normalissima gente (e non di un attentatore) che la politica oggi è in debito.
Trovo sbagliato, come pure è stato fatto ieri pomeriggio, politicizzare all’estremo il gesto di Luigi Preiti e farne l’ennesimo pretesto di uno stucchevole ping pong di dichiarazioni a effetto, ma il fatto che la sparatoria sia avvenuta a Roma, davanti a Palazzo Chigi e nel giorno del giuramento del nuovo governo, ci spinge inevitabilmente a considerazioni che vanno oltre. Il sorprendente risultato elettorale che ha visto crescere fino al 25% dei voti validi una forza politica come il Movimento 5 Stelle sta creando un dibattito politico «grillo-centrico». Prima il comico è stato presentato come la levatrice del cambiamento, poi dalla stessa parte politica è stato accostato ai lepenisti francesi e infine, da un’altra tribuna, la sua polemica contro la partitocrazia è diventata l’imputata del giorno, il brodo di coltura della sparatoria di ieri. Forse sarebbe meglio che anche il fenomeno Grillo venisse ricondotto ai suoi termini naturali, chi vuole batterlo e ridimensionarlo ha tutti gli strumenti per farlo, eviti di aggiungere veleno a veleno.
Oggi Enrico Letta presenta in Parlamento compagine e programma del nuovo esecutivo, finalmente i problemi degli italiani e le ricette per affrontarli si riprenderanno lo spazio che meritano. Il neo-premier è atteso da scelte difficili che richiedono forza negoziale in Europa, attenta selezione dei provvedimenti da varare e «produzione» di nuova coesione. Un aiuto, seppur indiretto, arriva dalla società di mezzo. Una festa di robusta tradizione come il Primo Maggio quest’anno vedrà per la prima volta, in alcune città, la presenza di una rappresentanza degli imprenditori sul palco sindacale. Un gesto di maturità e un esempio per la politica.
Fermezza e attenzione alle parole
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