Occorre affidare l’uscita dalla crisi a portatori sani di proposte prima che la situazione peggiori ulteriormente.
Se il Governo pensa di allentare i vincoli alla crescita sostituendo una tassa con un’altra siamo al Monti bis, anche perché la storia economica ci dice, come accaduto per l’Imu, che sarà studiata dall’amministrazione statale per avere un gettito maggiore. Significa che il “virus delle tasse” per risolvere i problemi, ignorando che invece li complicano, ha colpito anche persone serie come quelle che si sono meritevolmente incaricate di portare fuori il Paese dal lento degrado in cui va scivolando, alle quali auguriamo ogni successo, ma chiediamo una diversa politica.
Se inoltre ritiene di risolvere il problema del debito pubblico che problema non è almeno dal punto di vista tecnico con la costituzione di un fondo immobiliare o qualcosa a esso simile e di dimensione inadeguata, invece di consolidarlo offrendo ragionevoli condizioni di rendimento e garantendo l’operazione con un diritto sul patrimonio pubblico (warrant), come da tempo mi affanno a suggerire con Michele Fratianni e Antonio Rinaldi, imbocca una strada priva di sbocco e carica di illusioni. Eppure sarebbe l’unico modo serio per procurarsi risparmi pari a circa 20 mld di euro indispensabili per una politica di rilancio produttivo e occupazionale come quella promessa.
Se infine pensa di sbloccare l’offerta credito in Italia forzando le banche a fare cose che non debbono fare in particolare accogliere ulteriori rischi agli attuali livelli e rendimenti del capitale mettendole sotto accusa nei confronti dell’opinione pubblica o interpretando provvedimenti interni o esterni come risolutivi anche se non lo sono, allora è ancor più fuori strada. La stabilità delle banche è il presupposto per la ripresa produttiva, molto più di quanto non sia la stabilità, pur importante, dei conti pubblici. La soluzione è che la BCE di Draghi acquisti direttamente i crediti in forma mobiliare per finanziare l’attività produttiva, come ha fatto la Fed di Bernanke, e in tal senso deve operare.
Per fare ciò, come chiede Wolfang Münchau sul Financial Times, occorre “un’unione bancaria vera e retroattiva”; dove “per “vera” si intende un’unione pronta a intervenire in caso di emergenza” e “per “retroattiva” si intende disposta ad agire anche su situazioni preesistenti”. Come ottenere ciò? Letta “dovrà convincere i leader dei paesi creditori. E ci riuscirà solo se i paesi creditori saranno costretti a scegliere tra reciproco sostegno e crollo dell’euro. Sembra un paradosso, ma l’unico modo per rendere sostenibile la posizione dell’Italia nella zona euro è essere pronti, in via di principio, a uscirne. Se invece si esclude l’uscita proprio per una questione di principio, aumentano le probabilità che Roma sia costretta ad abbandonare l’euro, perché l’Italia avrà meno peso per spingere i paesi creditori a fare le modifiche necessarie.”
A questo proposito è lecito chiedere ai gruppi dirigenti italiani perché queste cose vengano accolte se vengono dette da commentatori esteri, che trovano facile spazio sui media, non di rado ben pagati, mentre se lo dice un italiano garantendo maggiore aderenza alla realtà, viene trattato da eretico e messo al bando dal dibattito come se non capisse il valore di stare in Europa a ogni costo.
Se il Governo orienterà le sue scelte in questa direzione, onestà intellettuale vorrebbe che non si affidasse l’uscita dalla crisi a chi pensa di ripetere le politiche che hanno portato all’aggravamento delle condizioni del Paese. Occorre affidarla a portatori sani di proposte prima che la situazione peggiori. E’ vero che i manuali di management insegnano che l’uomo reagisce e non agisce, ma pensare che si cambierà politica e politici solo quando la situazione sarà ulteriormente peggiorata solleva il quesito di quale sia questo livello. Vi sono seri motivi per ritenere che esso sia già stato raggiunto: quanti altri disoccupati e quale caduta di benessere si dovranno registrare affinché si decida di fare quanto necessario?
MISURE PER LO SVILUPPO Le scelte del governo
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