Dar seguito all’ipotesi di Enrico Letta sull’elezione diretta del capo dello Stato comporterebbe un completo mutamento della struttura istituzionale, che richiederebbe tempo e sarebbe dunque un’assicurazione sulla durata del governo. Ma non si può affidare alla classe politica più screditata della storia repubblicana il compito di rivoluzionare completamente le istituzioni
“Mai più un presidente eletto con questo sistema”, ha detto Enrico Letta. Come se avessimo assistito a una esecrabile vicenda dovuta a un sistema elettorale sballato – come è sballato il Porcellum – e non invece dovuta alla disgregazione di un partito che si è rivelato nient’altro che un insieme di bande l’una contro l’altra armata, che ha dato uno spettacolo miserabile di irresponsabilità e insipienza.
Ma nella dichiarazione di Letta non c’è il tentativo di deviare l’attenzione dalle responsabilità del Pd, o di ciò che oggi ne rimane. No, più probabilmente appartiene alla categoria “Cicero pro domo sua”. Un’offerta di quelle che non si possono rifiutare all’altra gamba della maggioranza anomala che sostiene il suo governo, quel Pdl che da tempo insiste sulla necessità di superare il parlamentarismo per arrivare a una forma istituzionale “decisionista”.
La lettura di questa offerta che si vorrebbe accreditare è che Letta proponga uno scambio fra il semi-presidenzialismo e una legge elettorale a doppio turno, su cui invece Berlusconi non si sarebbe mai mostrato entusiasta. La lettura realista è che lo scambio riguardi invece una più certa sopravvivenza del suo governo. Per ridisegnare tutto il sistema istituzionale ci vorrebbe certo parecchio tempo, e se la meta garantita comprende quello che per Berlusconi è un obiettivo fondamentale, ossia una qualche forma di presidenzialismo, si può star certi che il governo sopravviverà fino a quando quella meta sarà raggiunta.
Ora, fermiamoci a ragionare. Mettiamo per un attimo tra parentesi l’obiettivo istituzionale che si vuole raggiungere, senza discutere se sia desiderabile o meno, e facciamo un confronto fra i “padri costituenti”. Quelli del 1946 per la maggior parte venivano dalla Resistenza, e anche chi non vi aveva direttamente partecipato usciva da una dittatura finita nella catastrofe e sentiva la responsabilità di dar vita alla miglior forma democratica che fosse possibile. Era massiccia la presenza di intellettuali, tanto nelle fila della sinistra che nella Democrazia Cristiana. Certo non erano tutti santi e anche tra loro ci sarà stato qualcuno meno degno, ma in grande maggioranza si trattava di personaggi di grande qualità, come si sarebbe potuto verificare anche in seguito.
Il panorama di quelli di oggi è sconfortante. A destra c’è, attorno a un pluri-inquisito e pluri-condannato per reati di vario genere, un’aggregazione di venditori di Publitalia, di famigli di Berlusconi e di suoi avvocati (anche questi ultimi in numero cospicuo), di post-fascisti ai quali ogni tanto scappa ancora il saluto romano. A sinistra un’altrettanto variegata aggregazione di persone che, tagliati i ponti con la loro storia, non sono ancora riuscite a far capire quale tipo di società abbiano in mente. Un buon numero al di sotto di ogni sospetto sul piano della moralità. Almeno 101 – i famosi “traditori” – del tutto inaffidabili sul piano politico e con obiettivi che restano oscuri.
Questa è la classe politica più screditata della storia della Repubblica, che ha portato ai massimi l’astensionismo elettorale e ai minimi, secondo i sondaggi, la fiducia nei partiti, giunta al vertiginoso abisso del 4%.
E questi dovrebbero rifondare la Repubblica, cambiarla da cima a fondo come dicono di voler fare? Manipolare l’attuale equilibrio dei poteri, stravolgere la forma istituzionale? Con quali garanzie che non si passi dal Porcellum a una ben più pericolosa porcata, perché comporterebbe oltretutto un maggior tasso di autoritarismo?
Eh no, cari signori. Si cambi la legge elettorale, questo sì, perché sull’attuale le critiche sono unanimi. Ma per il resto non ci si azzardi a toccare nulla, almeno finché non riusciremo ad avere un Parlamento capace di recuperare la credibilità perduta agli occhi della grande maggioranza dei cittadini. Ma quale presidenzialismo, fate il minimo indispensabile, cercate di farlo decentemente e poi ridate la parola agli elettori. Certo, c’è un proverbio che dice “il peggio non è mai morto”. Ma è meglio un incerto futuro che un danno sicuro.
Post scriptum
Spaventato per l’arrivo di una serie di decisioni della magistratura (dalla sentenza del processo Ruby alle ben più importanti pronunce della Corte Costituzionale e della Cassazione che lo riguardano), Berlusconi ha fatto filtrare la richiesta di un intervento in sua difesa del capo dello Stato. Napolitano lo ha già fatto una volta durante la scorsa campagna elettorale. Se lo facesse di nuovo sarebbe scandaloso e intollerabile.
La Repubblica cambiata da questi?
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