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Pd e Pdl, i nemici-alleati che smontano le riforme

Da sindacalista alle prime armi nei lontanissimi e fantastici anni ’60 mi chiedevo che cosa mai significasse proclamare “lo stato di agitazione”. Evidentemente ne era chiaro il senso nel rituale del sindacato: si inviava ai padroni un preallarme per segnalare che eravamo prossimi a passare ad altre iniziative. Non riuscivo invece a capacitarmi di quale fosse il comportamento che i lavoratori dovevano tenere per manifestare la loro adesione alla direttiva agitatoria ed essere così “in regola” con il loro sindacato.
Chi sciopera non si reca al lavoro; ma chi è “agitato” come deve agire? Non dormire la notte? Sorbire molti caffè? Imprecare all’indirizzo del proprio datore di lavoro? Organizzare, insieme ai propri colleghi, quel sonoro “pernacchio” (reso immortale ne “L’oro di Napoli” dal grande Eduardo) al passaggio del direttore del personale?
Senza essere mai riuscito a venire a capo del problema, avverto adesso i medesimi dubbi ed interrogativi quando qualcuno (e in Italia sono tanti) invita il presidente del consiglio pro tempore a battere i pugni sul tavolo nei vertici Ue di Bruxelles, alla presenza di Angela Merkel. Da ultimo, l’invito (l’ennesimo) è venuto da Silvio Berlusconi durante il suo colloquio con Giuliano Ferrara, riportato ieri su Il Foglio.
Va dato atto al Cavaliere di aver usato toni non solo meno duri del solito, ma persino accorati: “Bisogna che il governo sappia con autorevolezza – ha detto l’ex premier – ingaggiare un braccio di ferro, senza strepiti ma con grande risoluzione (meglio, risolutezza, ndr) allo scopo di convincere i paesi trainanti dell’Europa, in particolare la Germania di Angela Merkel, che siamo di fronte ad una alternativa secca…”.
Quel che segue ce lo risparmiamo non tanto perché ne sottovalutiamo l’importanza, quanto piuttosto perché – come ci capitava da giovanotti con lo “stato di agitazione” – non riusciamo ad immaginare che cosa mai comporti l’invito ad “ingaggiare un braccio di ferro”. Soprattutto se di questa prova di forza deve essere promotore e protagonista Enrico Letta, il quale giocava ancora a calcetto nell’oratorio quando Angela Merkel riusciva già a barcamenarsi nella quotidianità della Ddr, tanto da potersi riciclare in gran fretta (e con notevole successo) subito dopo la caduta del Muro di Berlino.
Non mi convince affatto l’idea che i rapporti tra i capi di Stato e di governo si risolvano in ragione della capacità di persuasione o addirittura per il timbro del tono della voce. Ancor di più non riesco a capire che cosa induca mai “i paesi trainanti dell’Europa, in particolare la Germania di Angela Merkel” a rifiutarsi di capire che “se non si mette in moto in forma decisivamente espansiva il motore dell’economia, compreso quello finanziario legato alla moneta unica, uscendo dalla paralizzante enfatizzazione della crisi del debito pubblico – sono sempre parole del Cavaliere riportate da Ferrara – …le ragioni strategiche della solidarietà nella costruzione europea, dall’unione bancaria a tutto il resto, si esauriscono e si illanguidiscono fino alla rottura dell’equilibrio attuale”.
E subito è arrivato – ahinoi! – l’assist di Renato Brunetta il quale si è augurato, in una dichiarazione alle agenzie, che abbia termine una “politica economica a trazione tedesca” ed ha invitato il presidente Letta a “mettere in atto, già dal prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno, un vero e proprio new deal, a partire dai paesi più colpiti dalla crisi, per superare questa politica economica miope ed egoista”. Premesso che ci resta la curiosità di sapere se Brunetta invii alla signora Merkel (insieme ad un mazzo di violette del colore delle sue giacche) le slide prodotte incessantemente (siamo oltre il numero di 400), siamo certi che al nostro amico Renato sia capitato, da ragazzino, di giocare a calcio in un campiello veneziano con gli amici, e di trovarsi, ad un certo punto, a dover interrompere la partita perché il ragazzo proprietario del pallone lo raccattava da terra e lo portava via con sé senza dare spiegazioni agli astanti e senza lasciarsi convincere a prestarlo a chi voleva restare.
In sostanza, a me fa sorridere l’idea che la Cancelliera sia una specie di maestra con la penna rossa alla cui presenza tutti diventano timidi scolaretti. Soprattutto, quando ascolto le terapie che vengono proposte in alternativa a quelle eccessivamente rigoriste rimproverate alla Cancelliera.
La novità degli ultimi mesi è quella che bisogna stampare più moneta e che i guai dell’Italia derivano dal fatto che non abbiamo più una “sovranità monetaria”. Rimane allibito, chi, come il sottoscritto, ricorda che negli anni ’80 (fu la sfida vittoriosa del neo liberismo) venne dominata l’inflazione riducendo la base monetaria. Si dice che l’inflazione non è più un pericolo e che è rimasta un tabù per quei quei beoti dei tedeschi che si ricordano ancora della tragedia di Weimar.
Occorrono invece – è la Nep de “noantri” – risorse pubbliche (se è necessario stampando moneta) in chiave di deficit spending: basta con il vincolo del 3%; guai a preoccuparsi dei livelli di debito (la nuova linea la dà il Sol Levante che del debito se ne fotte). E soprattutto non si parli più di austerità. Eppure basterebbe riflettere su due circostanze che sono sotto in nostri occhi (a volerle vedere). E’ grazie alla fiducia che il governo (quello presieduto da Mario Monti) ha saputo recuperare sul piano internazionale che è stato possibile reperire 40 miliardi di euro da destinare in un biennio al pagamento di parte dei debiti contratti dalle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese (si tratta dei debiti pregressi, perché quelli nuovi sono già stati messi a pagamento ordinario) e dell’allentamento del patto interno di stabilità.
Ed è sempre grazie alle politiche dell’esecutivo dei tecnici se la chiusura della procedura d’infrazione per deficit eccessivo consentirà all’Italia di disporre, a partire dal 2014, di un bonus dell’ordine di 8-10 miliardi almeno. Nei giorni scorsi, l’Inps ha certificato che, dalla riforma Fornero delle pensioni, verrà in un decennio un risparmio di 80 miliardi, al netto di quanto stanziato (oltre 9 miliardi, classificati come spesa) a favore delle categorie salvaguardate (abbiamo notato con favore che un bravo sottosegretario al Lavoro, come Carlo Dell’Aringa, ha “osato” ridimensionare un problema – reale come quello dei c.d. esodati – ma ingigantito dai media).
Più le settimane trascorrono e più si invera quanto disse Enrico Letta nelle sue comunicazioni sulla fiducia: chi è diviso dalla “politica” può benissimo trovare intese sulle “politiche”. Chi scrive stenta a notare sostanziali differenze tra il Pd e il Pdl sul piano delle politiche economiche e sociali. Purtroppo, i “nemici-alleati” sembrano più propensi a smontare le riforme effettuate che a farne di nuove.

Fonte: Formiche.net 8 giugno 2013

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