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Imu&Iva. Svolta radicale per l’economia

Di compromesso in compromesso rischiamo il commissariamento dell’Europa.
Se l’alternativa allo scambio Imu-Service tax era la crisi di governo, magari accompagnata dalle dimissioni di Napolitano, non c’è dubbio: meglio così. Ma ci volevano mesi per arrivare ad un banale compromesso come quello di eliminare la tassa, per accontentare il Pdl, e poi rimetterla sotto altro nome? Non si era detto che questa sarebbe stata l’occasione giusta per ripensare l’intero sistema di tassazione? E che bisognava fare lo sforzo di trovare le risorse – tagliando spesa corrente – per una riduzione consistente e duratura della pressione fiscale? Come si fa a immaginare che gli investimenti riprendano, dandoci qualche chances di uscire dalla recessione e imboccare la strada della crescita, se in attesa della Service tax – che andrà ad aggravare la già pesante situazione di tasse e tariffe di natura locale – se si calcola (come la Cgia di Mestre) che con la Tares per i capannoni industriali si prospettano aumenti dal 20% al 30% fino a un massimo di 1.133 euro nonostante che crisi produttiva e calo dei consumi abbiano ridotto la quantità di rifiuti da smaltire?
La grande coalizione, anche se forzata, dovrebbe servire a fare cose che le due coalizioni separatamente sono state incapaci di realizzare, non per trovare il minimo comun denominatore. Stessa cosa vale per il gioco di prestigio fatto sui precari. E, temiamo, non diversamente sarà per l’Iva: braccio di ferro tra Pdl e Pdl, che già si palleggiano la responsabilità dell’eventuale ritocco di un punto, e poi mediazione al ribasso. Attenzione, però: di compromesso in compromesso, non solo non si fanno le riforme strutturali che invece dovrebbero essere la cifra di un governo “indispensabile” come quello Letta, ma si rischia un intervento a gamba tesa dell’Europa, che non si fida dei nostri numeri – e come darle torto – temendo che la previsione di restare sotto la linea del 3% di deficit-pil sia basata su entrate non certe.
Sullo sfondo di un dibattito politico ancora tutto legato alla “questione Berlusconi”, c’è dunque la Commissione europea pronta ad “intimare” all’Italia di assicurare la sostenibilità della finanza pubblica attraverso coperture certe per tener fede agli impegni presi e sottoscritti dai governi Berlusconi e Monti (che proprio su Imu e Iva contavano per rispettare l’obiettivo del deficit al 3%). Il rischio, altrimenti, è quello di un commissariamento, tanto più facile da attuarsi dopo l’appuntamento elettorale tedesco di fine settembre. E non saranno i buoni rapporti personali tra Letta e la Merkel a salvarci, e neppure l’adesione italiana all’isolazionismo eurogermanico nel caso Obama si decida ad attaccare militarmente la Siria.
Altro che luce in fondo al tunnel e aggancio della ripresina europea, qui si rischia grosso. Per questo, la speranza è che le forze produttive, imprese e lavoratori, escano allo scoperto e riescano a farsi interpreti della necessità di una svolta radicale, capace di far davvero fruttare la stabilità che il governo Letta si è guadagnato e, speriamo, si guadagnerà anche solcando il guado del caso Berlusconi. Senza la pressione, possibilmente unitaria, del mondo imprenditoriale e del lavoro – che devono finalmente assumersi quelle responsabilità “politiche” che finora, per un motivo o per l’altro, hanno scansato – sarà improbabile che la politica dei piccoli passi lasci spazio alle grandi falcate.

Fonte: Messaggero del 2 settembre 2013

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