Da quando è stata pubblicata la traduzione inglese di Le Capital au XXIe Siècle, le recensioni, i convegni, gli inviti hanno proiettato Thomas Piketty a livelli di notorietà inusuali per un economista. Ragion per cui, quando il Financial Times spara la notizia che ci sono errori nei suoi numeri e nel modo di usarli, il botto è proporzionato al successo. Gli entusiasti tutti dietro a Paul Krugman, a scagliarsi contro i pignoli incompetenti che avevano osato attaccarlo, i critici (quorum ego) a sorridere: che vi dicevo? Thomas Piketty ha scritto 1.000 pagine (delledizione originale) corredate da 115 tra grafici e tabelle, sintesi di 15 anni di lavoro accademico, una formidabile cintura protettiva intorno alla tesi che il capitalismo produce diseguaglianza. Dimostrare una tesi con una massa intimidente di dati: è il pikettismo. Ragionare sul rapporto tra scelta della tesi e raccolta dei dati: è il metapikettismo.
Quelli che hanno confutato la tesi di Piketty lhanno fatto prescindendo dai suoi dati, con argomenti che valgono indipendentemente dal fatto che i numeri fossero giusti o sbagliati. Solo se la tesi è convincente, si cercano i dati atti a confermarla. Vale nelle scienze fisiche: la teoria della relatività viene prima della conferma con la precessione del perielio di Mercurio; il bosone di Higgs è predetto decenni prima di trovarlo. Vale a maggior ragione nelle scienze sociali, dove Hayek docet non esistono leggi deterministiche analoghe a quelle dei fenomeni fisici. Non cè mole di dati che dimostri che la diseguaglianza è la conseguenza del capitalismo, inevitabile come inevitabile ne era per Karl Marx la fine a causa della caduta del saggio tendenziale di profitto. Per refutare la tesi di Piketty basta refutare la sua idea di capitale, senza bisogno di grafici e tabelle: osservare che il capitale per lui non sono i mezzi di produzione, ma qualsiasi proprietà con un valore di mercato, che sia o no produttiva; che il rendimento, la r al centro della sua rappresentazione, ne indica la variazione in valore; che il capitale si riduce a una massa omogenea il cui valore aumenta da solo al passare del tempo, senza bolle che crescono e scoppiano, non correlato al rischio, concetto estraneo alla sua teoria; che l1 per cento dei più ricchi è un aggregato statistico, non linsieme in continuo movimento di persone che vi entrano e che vi escono.
Per il metapikettista è evidente che il pikettismo, preoccupato di accumulare dati a sostegno di una tesi universale, rinuncia a usare i dati per indagare le differenze. Cina, Nigeria, America sono tutte, in senso lato, economie di mercato, e tutte presentano diseguaglianze, ma quello che interessa è la diversità tra le cause che le producono e le forme che assumono, non solo la loro entità. Nellaggregato statistico non si individuano le cause: ad esempio come lesplosione del numero di persone raggiunte dai media globalizzati abbia sospinto chi fa parte dello star system verso il club dell1 per cento supericco. O ancora: quanti in ogni momento sono i banchieri nell1 per cento più ricco in America? Come si spiega che gli azionisti delle banche accettino di pagar somme da capogiro ai loro amministratori? O che clienti delle banche gli affidino i propri soldi pur sapendo che quei bonus premiano i profitti che le banche fanno usandoli per speculare? Il settore bancario è di gran lunga il più regolato di tutti: sarà che i bonus premiano proprio la capacità dei banchieri di sfruttare le conseguenze impreviste della regolazione? E quello che sostiene, ad esempio, Michael Lewis descrivendo come le grandi banche hanno usato lHigh Frequency Trading.
Cè una logica connessione tra tesi della diseguaglianza fondamentale, dati per dimostrarla, strumento nuovo per porvi rimedio. Non è perché i dati sono inesatti che una tassazione confiscatoria su redditi e su patrimonio non può funzionare, ma perché, rincorrendo luniversalità della legge, Piketty perde di vista lo specifico delle organizzazioni sociali. Se in America la gran parte degli appartenenti al club dell1 per cento vogliono escludere i figli dalleredità non è per ridurre le disuguaglianze, ma per il bene dei figli stessi e per la fedeltà alla società dove han potuto accumulare ricchezza, e in cui i privati si fanno carico di sostenere welfare, cultura e politica. E non si vergognano se, nel farlo, produce diseguaglianze.
Gravi o meno gravi che siano gli errori trovati dal Ft, essi hanno spostato il discorso dal pikettismo al metapikettismo: a considerare il Capitalismo del XXI secolo come un manifesto politico, e valutarlo indipendentemente dallapparato statistico che dovrebbe supportarlo.
Fonte: Il Foglio - 6 Giugno 2014