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Tasse la riduzione che non c e

“Tagliamo le tasse di 18 miliardi”. Ma Renzi legge le tabelle della sua manovra? Perché da quelle il taglio non risulta. Quella indicata dal presidente del Consiglio è una bella somma, circa l’1,2% del Pil. Con 18 miliardi in meno di tasse il dato delle entrate rispetto al Pil e quello sulla pressione fiscale dovrebbero scendere sensibilmente. Invece aumentano entrambi, almeno secondo i documenti ufficiali di bilancio, come si vede da questa tabella che di lì è tratta.

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Quello 0,2% di aumento delle entrate è il tributo pagato alle assurde richieste della Commissione Ue (i famosi 3 miliardi e mezzo in più): nel documento che avevamo presentato le entrate erano previste invariate al 47,7%. E anche la pressione fiscale mostrava una quasi impercettibile discesa al 43,2%, mentre ora sale al 43,4.

Sale, appunto: i 18 miliardi di tasse in meno non ci sono. E non ci saranno neanche negli anni successivi, come si ha scritto l’economista Gustavo Piga in un articolo dal quale riproduciamo quest’altra tabella che mostra le previsioni fino al 2017. Anzi, la pressione fiscale salirà ancora un po’ fino al 43,8%.

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Inutile, quindi, che i parlamentari renziani si affannino ad elencare gli sgravi contenuti nella Legge di stabilità: gli sgravi ci sono, certo, ma sono più che compensati da aumenti di imposizione su altri cespiti. Alcuni ci guadagnano, altri vedono crescere ancora di più il peso del fisco. Nella media, come abbiamo visto cambia poco, se non per il fatto che un ulteriore aumento, anche se piccolo, c’è.

Sbandierare una riduzione delle tasse serve ovviamente a cercare consenso, ma è difficile che l’illusione regga quando la realtà è diversa. Ma Renzi ha aggiunto un’altra osservazione: “Finalmente lo Stato si riduce”. Il concetto serve per parlare al cuore dei conservatori, per i quali la ritirata dello Stato è un classico cavallo di battaglia. Che poi neanche questo sia vero è un dettaglio poco importante, come poco importante è stato giudicato l’astensionismo alle elezioni regionali che ha stracciato qualsiasi record storico.

Ma, al di là della propaganda, se davvero le tasse diminuissero sarebbe la ricetta migliore in questo momento? Mi sia consentita una premessa: personalmente non considero le tasse “bellissime”, come disse provocatoriamente Tommaso Padoa Schioppa. Le considero una necessità, resa più spiacevole dal sapere che appartengo ad una di quelle categorie che ne paga in eccesso a causa dell’evasione endemica. Se però riusciamo ad astrarre dalla nostra situazione personale e facciamo un ragionamento di macroeconomia, questo non è il momento di ridurre le tasse. Se vogliamo fermare la frana dell’economia bisognerebbe destinare più risorse possibile agli investimenti pubblici, senza i quali quelli privati non ripartiranno mai. Anche gli ultimi dati dell’Istat certificano che gli investimenti privati continuano a ridursi. La mitica “fiducia” invocata dai tecnocrati e dagli economisti allineati, che doveva scatenare gli animal spirits degli imprenditori, continua a latitare. Le riforme strutturali non commuovono se manca un rilancio della domanda, perché il sistema potrà pure diventare efficientissimo, ma se poi non si sa a chi vendere nessuno si mette a produrre di più. Certo, si può sempre dire che le riforme non sono state sufficienti. Continuiamo così e saranno inutili, perché quando saranno state fatte tutte non ci saranno più imprese a poterne approfittare: saranno già fallite.

Fonte: Repubblica.it - 30 novembre 2014

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