• domenica , 23 Febbraio 2025

Diventerà Europa quando sarà “Potenza Nucleare”

di Bruno Costi

Se davvero Trump porterà fino alle estreme conseguenze il suo voltafaccia verso l’alleato militare europeo, prima o poi anche Giorgia Meloni dovrà porsi per l’Italia lo stesso problema che il neo cancelliere tedesco Merz sta affrontando fin da prima della sua elezione a Cancelliere, pensando alla sua Germania: come garantire la sicurezza strategica militare dei cittadini, se gli Usa ritireranno l’ombrello atomico che dal dopoguerra ha protetto l’Europa dalle aggressioni russe ed esterne?

Prima del voto, Merz aveva condotto alcuni discreti sondaggi con la Francia e Gran Bretagna, le uniche due potenze nucleari europee, per capire se ed in che misura il loro arsenale atomico sarebbe stato disponibile per la protezione del territorio tedesco.
In fatto di armamenti nucleari , Germania ed Italia sono accomunate da un comune destino: come potenze belligeranti sconfitte nel secondo conflitto mondiale hanno per lungo tempo scontato il divieto di riarmarsi con autosufficienza per provvedere alla propria sicurezza; alla quale avrebbe provveduto la Nato, nel quadro dell’Alleanza Atlantica guidata dagli Usa.
Ma con gli annunci di Trump che chiama ora i paesi Europei a provvedere alla loro autodifesa, destinando fino al 5% del loro Pil alle spese militari, potrebbe riaprirsi anche la questione della difesa missilistica atomica, e dunque anche la fine del tabù che ha riguardato Germania e Italia.

Del resto, se la distanza tra Mosca e Roma sono 3000 km e il più modesto dei missili russi a medio raggio l’MRMB colpisce obiettivi fino a 3.500 km, mentre l’Oreshnik arriva a 5.000 km e il Sarmat per ora sperimentale ad oltre 5.000 km, si capisce bene che nel nuovo disordine mondiale, senza un ombrello antimissili e missili a testata nucleare, nessuna delle capitali europee può sentirsi al sicuro da aggressioni, nemmeno Roma. Non perché si debbano usare, ma cinquant’anni di guerra fredda hanno dimostrato che la deterrenza evita le guerre non le alimenta. Ed allora?

Rispondere a questa domanda di sicurezza significa per il Governo italiano e per il Parlamento riaprire la questione nucleare non solo per garantire ai cittadini l’autosufficienza energetica ma anche l’autosufficienza strategica della difesa militare.
L’Italia attualmente ospita solo 70-90 missili con testate nucleari di proprietà americana dislocate nelle basi di Ghedi ed Aviano, ovvero sul fronte Nord Est, ma non ne ha la autonoma disponibilità.

Tuttavia non è stato sempre così, perchè prima che entrasse in vigore il Trattato di non proliferazione Nucleare (1975) l’Italia aveva maturato una rilevante esperienza nel campo della propulsione nucleare ( i motori di navi e sommergibili) e poi anche nel campo della missilistica in grado di trasportare testate nucleari.

Negli anni ’70 le Forze Amate progettarono il missile balistico Alfa in grado di arrivare fino a 1600 km; tra il 1973 e il 1976 furono effettuati 3 lanci sperimentali in Sardegna con pieno successo. E si trattava di 50 anni fa. E’ presumibile che oggi potremmo arrivare ben oltre quei limiti.
Tuttavia, alla vigilia della ratifica del trattato il dibattito in Italia divenne davvero incandescente ed a rileggerlo oggi ha il sapore della profezia.

L’ambasciatore Roberto Gaia che rappresentava l’Italia al tavolo delle trattative, sotto lo pseudonimo di Roberto Guidi, scrisse un articolo dirompente sul quotidiano La Stampa nel quale criticava aspramente l’andamento delle trattative che vedevano Stati Uniti e Unione Sovietica, ufficialmente contrapposti in pubblico, ma in combutta ufficiosamente in privato, nell’impedire che l’Europa avesse una propria autonoma capacità di difesa nucleare. E chiese che venisse riconosciuta all’Europa lo status di potenza nucleare. Sulla stessa linea il presidente del Comitato Nazionale per l‘Energia Nucleare, Achille Albonetti, che in un altro articolo pubblicato nel 1974 su “La Discussione” periodico della DC, scrisse che la mancanza della cosiddetta “clausola europea”, che si risolveva nel sostanziale divieto per l’Europa di disporre collettivamente di armi atomiche, avrebbe ostacolato il processo di integrazione europea e la formazione di “una partnership di uguali tra l’Europa unita e gli Stati Uniti” e avrebbe anche creato all’interno della Nato un direttorio nucleare a tre (Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia) con l’esclusione degli altri Paesi europei, in particolare, dell’Italia. Cosa puntualmente avveratasi.
La reazione delle sinistre, nel Paese, sulla stampa e in Parlamento fu violenta; il Governo fu accusato di volere la bomba atomica, a discapito delle altre riforme sociali di cui il Paese aveva bisogno. Il trattato fu ratificato e da allora calò i sipario sull’idea di una autonomia nucleare difensiva dell’Europa e dell’Italia.

Rispetto ad allora, oggi ci sono molte assonanze ma anche importanti differenze.

Il dialogo diretto Trump- Putin per chiudere la guerra in Ucraina, declassare il ruolo politico dell’Unione Europea che pure da 3 anni sostiene con aiuti diretti superiori a quelli Usa, la resistenza di Zelensky, e la sostanziale intesa con la Russia per la spartizione delle sfere di influenza nel continente europeo, ricorda quell’asse occulto tra Washington e Mosca che nel 1975 impedì agli europei una difesa nucleare autonoma.
Ma al tempo stesso c’è una rilevante differenza: oggi Trump sollecita gli europei a provvedere da soli alla propria difesa ed è lui a chiedere che i Paesi Nato investano sino al 5% del PIL a questo fine. Dunque oggi più di ieri la geopolitica mondiale potrebbe essere pronta ad accogliere una capacità europea di difesa nucleare, proprio perché il Paese più potente del mondo, gli Usa, ed il presidente più assertivo di sempre Trump, di fatto, la sollecitano. Solo che i governi europei lo vogliano.

(Club dell’Economia – 22 febbraio 2025)
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