di Fabrizio Onida
Come si posiziona l’Italia negli anni recenti sui mercati internazionali quanto a competitività tecnologica, quindi guardando oltre i ben noti vantaggi nei campi come moda-design-stile-creatività-tradizione artigianale-qualità e gusto alimentare?
Sbaglia chi ignora che più di due terzi della nostra produzione industriale e delle nostre esportazioni è composta da beni strumentali (di investimento) e da beni intermedi che pervadono l’intero sistema produttivo. Parliamo di settori che spaziano dalle macchine utensili per lavorazione dei metalli alla meccanica strumentale in genere (es.macchine tessili, per lavorazione della pelle, del legno, della plastica etc. e relative componenti), ad altri pur importanti come mezzi di trasporto su terra-mare-aria, metallurgia, componentistica elettronica, chimica, gomma e plastica, farmaceutica, materiali da costruzione e rivestimento edilizio, carta, stampa.
Importante: in molti casi il primato competitivo in quei beni di consumo del tipico made in Italy dipende non solo dalla scelta di qualità delle materie prime, dall’eccellente livello della manodopera qualificata, dal design e dalla fantasia imprenditoriale, ma almeno altrettanto dal progresso tecnico e dall’innovazione incorporata nei macchinari, tutti fattori che garantiscono ai prodotti finiti doti fondamentali come qualità, adattabilità a esigenze personalizzate dei clienti, affidabilità delle prestazioni, contenimento dei costi.
L’apposito “Rapporto annuale dell’Istat sulla competitività dei settori” (Istat 2023) documenta questo ventaglio di produzioni dove il made in Italy è meno noto al grande pubblico, fornendo anche un indice sintetico di competitività (ISCo) che tiene conto di produzione, fatturato all’estero e grado di utilizzo degli impianti. A proposito di competitività tecnologica, il Rapporto sottolinea che un punto di forza delle nostre imprese esportatrici di beni strumentali sta proprio nell’innovazione digitale, che caratterizza crescentemente la nostra offerta di macchine operatrici dotate di sistemi di controllo numerico, capaci di soddisfare una clientela sofisticata continuamente alla ricerca di soluzioni complesse che sposano flessibilità, competitività da costi e sostenibilità ambientale. Un esempio preclaro, ma certo non unico, è dato dalle macchine per l’imballaggio (packaging) nei settori farmaceutico, alimentare, tabacco e cosmetica, macchine e sistemi di automazione protagonisti della “packaging valley” bolognese (tra cui la Coesia-exGD della famiglia Seragnoli e l’IMA di Alberto Vacchi): una realtà con più di 230 aziende con 0ltre 20.000 dipendenti. Una realtà di distretti industriali confinante con la più nota “motor valley” che da Piacenza si estende alla Romagna e ospita campioni iconici come Ferrari, Maserati, Lamborghini e Dallara. Queste agglomerazioni ad alta specializzazione sono oggi protagoniste all’avanguardia della transizione digitale e “green” che pervade l’evoluzione antica e recente dei “distretti industriali”. Storia e realtà recente che hanno affascinato generazioni di economisti, da Giacomo Becattini a Giorgio Fuà, fino ai numerosi allievi che hanno sviluppato il solco aperto un secolo fa dall’Alfred Marshall di “Industry and Trade” (1919). Nel gergo degli economisti tali aggregazioni spaziali di imprese e centri urbani sono caratterizzate dalla presenza di “economie esterne”, fenomeno esterno alle singole imprese ma interno alla specifica area territoriale.
L’Istat è arrivata a censire fino a 610 “sistemi locali di lavoro” basati sulla contiguità geografica di economie urbane e agricole entro cui si collocano i famosi distretti industriali protagonisti del made in Italy, Nei sistemi locali del Centro-Nord origina più del 60 per cento delle esportazioni italiane, a cui concorrono molte affiliate di imprese multinazionali estere felici di operare in Italia. Per inciso, nell’Annuario 2023 “Commercio estero e attività internazionali delle imprese” sempre l’Istat informa che più di 15.000 imprese controllate dall’estero occupano 1,4 milioni di addetti, generando quote di valore aggiunto nazionale intorno al 10-13 per cento in regioni come Emilia-Romagna-Veneto-Piemonte, quota che arriva al 30 per cento in Lombardia. Nell’insieme, le imprese controllate dall’estero concorrono a generare quasi il 30 per cento delle esportazioni nazionali, il 49 per cento delle importazioni e quasi un quarto delle spese in Ricerca &Sviluppo.
Il citato (Istat 2023) mette in luce anche la rilevanza dei beni intermedi, materiali e componenti lungo le numerose “catene del valore” con cui centinaia di imprese italiane (grandi, medie, piccole) riforniscono una amplissima clientela di produttori sparsi in Europa (Germania in primo piano) che a loro volta vendono ed esportano nei mercati terzi, contribuendo in tal modo alla diffusione del valore aggiunto italiano nel mondo.
Tornando al tema della competitività tecnologica, un recente rapporto della Direzione Studi e Ricerche di Intesa San Paolo diretta da Gregorio De Felice (“Il ruolo dell’alta tecnologia in Italia: quali opportunità dalle sfide future?” (27 novembre 2023) aiuta a capire come il nostro sistema produttivo – pur non potendo rivaleggiare con paesi come gli Usa in cui da tempo settore pubblico e privato investono sulle frontiere tecnologiche più avanzate – non è affatto assente nell’offerta mondiale di prodotti e servizi in numerosi settori e comparti di queste frontiere.
Il rapporto fotografa la presenza in Italia di 24 poli tecnologici ad alta specializzazione, che complessivamente annoverano circa 5600 unità locali e 141mila addetti (a partire dai 48mila occupati in Lombardia). I settori in cui operano tali poli tecnologici, e da cui si riforniscono spesso i colossi altrui che meglio di tutti conoscono le nicchie della nostra offerta, vanno dall’aerospazio all’ICT, al farmaceutico, al biomedicale. In alcune di queste nicchie (come elicotteri, apparecchi a raggi ultravioletti o infrarossi per uso medico e macchine per l’equilibratura delle parti meccaniche) nel 2018-2022 le nostre imprese hanno occupato una quota superiore al 20 per cento del commercio mondiale.
Sono frequenti i casi di stretta collaborazione nella ricerca e nella produzione tra le nostre aziende di punta e le principali imprese multinazionali, come nel caso della joint venture fra la nostra Alenia Spazio e la francese Thales, entrambi gruppi a forte presenza di controllo pubblico. Alla “Industria dello spazio”, in cui l’Italia è al quarto posto nel commercio mondiale dopo Usa, Francia e Germania, è dedicato un recente volume Astrid-Passigli Editore.
Se il giornalismo a larga diffusione si occupasse meno di gossip e più di queste realtà ci aiuterebbe forse a delimitare il fatidico leopardiano pessimismo sulle sorti del paese.
(Sole 24Ore, 16 dicembre 2023)
Fonte: Sole 24Ore, 16 dicembre 2023