di Giuseppe Pennisi
Perché la Banca Centrale europea e la sua presidente si occupano del Mes? Che ruolo hanno in uno strumento creato in seguito alla crisi del debito del 2008-2009 e al di fuori – si ritiene – del campo d’azione dell’istituto? Un ruolo lo hanno. Eccome. Soprattutto dopo la fine del Qe e degli sportelli speciali creati in seguito alla pandemia e di cui ha tratto vantaggio soprattutto l’Italia. Il commento di Giuseppe Pennisi
Il Consiglio della Banca Centrale Europea (Bce) ha deciso di aumentare i tassi di 50 punti di base e ha annunciato che a partire da marzo inizierà a vendere i titoli di Stato dell’eurozona, avviando la fase di «Quantitative Tightening» (Qt), l’opposto del Quantative Easing (Qe) lanciato per la prima volta da Mario Draghi, sulla scia di quanto attuato dalle autorità monetarie americane, durante la crisi del debito. La reazione delle Borse è stata immediata: un calo dei principali indici. Anche lo spread è subito aumentato: quello tra Btp e Bund è passato da 140 punti base a 216 nel giro di una mezz’ora. Alla riunione del Consiglio, quindi, i «falchi» la hanno avuta buona sulle «colombe». Ciò ovviamente non è piaciuto ad esponenti del governo dell’Italia, il Paese che, negli ultimi anni, è stato il maggior beneficiario sia del Qe sia dei canali o «sportelli» speciali per l’acquisto di titoli di stato emessi a ragione della pandemia.
È piaciuta ancora meno l’osservazione della presidente della Bce a proposito del fatto che il nostro Paese è l’unico a non avere ancora ratificato l’accordo intergovernativo con cui viene modificato il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). L’osservazione più frequente è: perché la Bce e la sua presidente si occupano del Mes? Che ruolo hanno in uno strumento creato in seguito alla crisi del debito del 2008-2009 e al di fuori – si ritiene – del campo d’azione dell’istituto?
Un ruolo lo hanno. Eccome. Soprattutto dopo la fine del Qe e degli «sportelli speciali» creati in seguito alla pandemia e di cui – ripetiamo – ha tratto vantaggio soprattutto l’Italia, in quanto, dopo la Grecia, Paese con il più alto debito pubblico rispetto al Pil tra quelli dell’eurozona.
La Bce, infatti, ha varato quello che in linguaggio giornalistico viene chiamato «lo scudo anti spread» con l’obiettivo di cercare di garantire una corretta ed uniforme trasmissione della politica monetaria. Pochi, anche sulla stampa economica, si sono preoccupati di spiegare cosa è e come funziona.
Il Transmission Protection Instrument (Tpi), noto come «scudo anti spread», è uno strumento varato a luglio 2022 con lo scopo di evitare che attacchi speculativi penalizzino i titoli di stato dei Paesi più indebitati. In sintesi esso sarà attivato “per contrastare dinamiche di mercato ingiustificate e disordinate che rappresentano una seria minaccia per la trasmissione della politica monetaria nell’area dell’euro”. Nel luglio scorso, nessuno, né della maggioranza né dell’opposizione, ha fatto rilievi. Forse perché presi dalla campagna elettorale.
La creazione dello strumento vuole evitare il ripetersi della crisi del 2011, quando il differenziale di rendimento tra Btp italiani e Bund tedeschi arrivò a 500 punti, mettendo a rischio la sostenibilità del debito pubblico dell’Italia e la stessa unione monetaria.
In base al Tpi, la Bce potrà effettuare acquisti sul mercato secondario di titoli emessi in Stati che subiscono un deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali specifici del Paese, per contrastare i rischi al meccanismo di trasmissione nella misura necessaria. In sintesi, la Bce potrà comprare, senza limiti, titoli pubblici di durata compresa tra uno e dieci anni, per ridurre gli spread. Gli acquisti finiranno quando la trasmissione della politica monetaria sarà migliorata in modo duraturo. Tuttavia anche un peggioramento della situazione macroeconomica e debitoria del Paese potrà indurre lo stop al programma.
Affinché il meccanismo di protezione sia attivato è necessario che gli Stati coinvolti perseguano politiche fiscali sane e sostenibili monitorate dalla Bce, dalla Commissione europea e dal Fondo monetario internazionale (Fmi), la stessa «triade» prevista per il Mes. Per attivare «lo scudo», occorre : a) conformità al quadro di bilancio Ue, quindi non essere sottoposti a misure di infrazione per deficit eccessivo ed aver adottato misure idonee in seguito a richieste della Commissione (ad esempio il rispetto degli impegni presi con il Pnrr); b) assenza di gravi squilibri macroeconomici dato che se il peggioramento dello spread dipende da un deterioramento dei fondamentali e non da attacchi speculativi il meccanismo non sarà operativo; c) sostenibilità fiscale e del debito.
Dal punto di vista macroeconomico lo «scudo» è uno strumento complesso e discrezionale. Per l’investitore sapere che c’è un «acquirente di ultima istanza» dei nostri Btp potrebbe rendere i risparmiatori meno attenti alle dinamiche del debito italiano. Ad esempio una persona potrebbe essere tentata di aumentare in modo considerevole la quota di Btp in portafoglio nella speranza che i tassi non saliranno più di tanto grazie all’intervento della Bce. Un ragionamento di questo tipo è fuorviante: lo «scudo», infatti, evita che a crescere sia il differenziale dei tassi e non il loro livello in assoluto. Inoltre gli speculatori potrebbero essere tentati di «testare» lo strumento, mettendo sotto pressione la Bce. La discrezionalità nel suo utilizzo che rende «lo scudo» uno strumento su cui nutrire parecchi dubbi e perplessità. Molto di più di quelle che riguardano il Mes per ottenere i cui finanziamenti occorre una richiesta esplicita dello Stato membro.
Quindi, le perplessità e i dubbi rispetto al Tpi, in vigore senza nessun rilievo da parte della politica o della alta burocrazia o degli esperti che seguono le politiche europee, sono maggiori rispetto al Mes.
Sarebbe sensato ratificare l’accordo che aggiorna quest’ultimo e, inoltre, testarlo utilizzando lo «sportello speciale» per la sanità, settore che ha urgente bisogno.
(Formiche 16/12/2022)
Fonte: Formiche 16/12/2022