di Bruno Costi
Se l’indipendenza energetica dell’Europa è l’unico modo per sfuggire al ricatto energetico di Putin e difendere il nostro benessere economico, le nostre libertà individuali e la nostra scelta democratica ed occidentale, occorre fare qualcosa in più per evitare che l’Italia a l’Europa cadano dalla padella del gas russo alla brace del gas algerino.
Intendiamoci: l’attività frenetica perseguita dal Governo Draghi nelle ultime otto dieci settimane, con tempestività ed efficacia che hanno sorpreso tutta Europa, sono meritorie e già oggi consentono di ridurre dal 40% al 15% la quota di gas russo, puntando alla totale indipendenza entro 24-36 mesi.
Ma uno sguardo attento alle cifre consolidate ed alle scelte in corso permettono di intravedere rischi e trappole poco rassicuranti ed indicano già ora cosa occorrerebbe fare per scongiurarli.
La dipendenza energetica
L’Italia ha fame di energia non solo in casa ma anche in fabbrica. Siamo la seconda industria manifatturiera d’Europa e dell’energia elettrica e termica non possiamo fare a meno. Il problema è che non abbiamo e non abbiamo mai avuto sufficienti materie prime energetiche sul territorio nazionale ed abbiamo sempre dovuto fare di necessità virtù: abbiamo creato un’eccellenza energetica, come l’Eni di Enrico Mattei e l’abbiamo mandata in giro per il mondo a scoprire giacimenti, posare tubi, costruire raffinerie in cambio di petrolio e gas da pompare in Italia. Negli ultimi dieci anni, poi, abbiamo chiesto di fare altrettanto anche all’Enel, soprattutto con le energie rinnovabili, ma il risultato, benché ammirevole, è che produciamo in casa il 25% dell’energia che serve al Pese ed il 75% dobbiamo necessariamente continuare ad acquistarlo dagli altri.
Sicchè, se si guardano i dati della Relazione sulla situazione energetica 2021, pubblicati dal Ministero per la transizione ecologica, si scopre che di quel 75% di energia che acquistiamo all’estero (153.024 Ktep-tonnellate di petrolio equivalenti), il 43,2% è gas (62.511 Ktep), e quello russo è poco più di un terzo del gas importato, cioè il 15% (23.283 Ktep); quota che ne fa, comunque, il primo fornitore dell’Italia.
Posizione privilegiata quella russa, già ribaltata dagli accordi tra Italia e Algeria che, per il gioco del taglio delle importazioni dalla Russia e l’aumento di quelle algerine, consente ad Algeri di scalzare Mosca come primo fornitore di gas dell’Italia e in prospettiva d’Europa.
Diversificare le fonti di approvvigionamento di gas e declassare fino ad azzerarla la componente russa è, dunque, in prima approssimazione una scelta obbligata, vista la scelta di Putin di utilizzare le forniture di gas non solo come fonte di ricchezza del suo Paese ma anche come arma offensiva nella guerra ibrida alle democrazie occidentali.
Ma può anche alla fine rivelarsi insufficiente se, come per esempio nel programma Repower EU adottato dalla Commissione Europea, si continua a considerare il gas come fonte prevalente ed ineliminabile anche per rendere l’Europa indipendente dal gas russo entro il 2027.
Luci ed ombre nell’accordo Italia Algeria
Per altro, la pur tempestiva e provvidenziale capacità del governo Draghi di sostituire in poco più di due mesi il gas russo con il gas algerino trasforma ora l’Algeria nel primo fornitore di gas per l’Italia.
E se pure Algeri non mostra una pericolosità militare evidente e intenzioni bellicose o egemoni analoghe a quelle di Mosca, o pan-islamiche simili a quelle dell’Iran, si tratta tuttavia pur sempre di una fragile democrazia araba, percorsa da fremiti, tormenti, tensioni sociali aggravate dalla pandemia, ambiguità e condizionamenti dall’estero come dimostra il voto di astensione alla risoluzione dell”Onu che ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina.
Preoccupano per esempio gli stretti e non episodici legami con la Russia in essere almeno dal 2006 quando Putin cancellò un debito algerino di 4,7 miliardi di dollari contratto con l’Urss in cambio di un accordo di cooperazione militare da 7 miliardi di dollari che, di lì a qualche anno, avrebbe reso Algeri il terzo cliente di forniture militari di Mosca (il 14 % delle esportazioni), dopo India (25%) e Cina(16%).
Ma il fatto più inquietante è che gli stretti legami tra Mosca e Algeri non appaiono episodici bensì strutturati da una stretta correlazione tra i settori dell’energia e delle armi. Come dimostra la joint venture già operativa tra il gigante dell’energia russo Gazprom e l’algerina Sonatrach che dal 2025 prossimo estrarrà gas dal giacimento di El Assel, e come conferma il memorandum d’intesa tra Sonatrach e Lukoil per un altro giacimento analogo firmato nel maggio del 2020, e seguito appena 4 mesi dopo da un accordo di cooperazione militare tra il capo di Stato maggiore algerino Said Shengriha e l’omologo russo Shugaev.
Sostituire pertanto la Russia con l’Algeria come primo fornitore di gas all’Italia è una scelta oggi necessaria ma può rivelarsi anche rischiosa.
Il gasdotto Transmed, che attraverso il Mediterraneo e l’Italia porterà il gas algerino nel nord Europa, potrebbe sicuramente trasformare il nostro Paese in un hub energetico del continente esattamente come Angela Merkel voleva lo diventasse la Germania con il gasdotto North Stream 2 . E ciò darebbe al Paese indubbi vantaggi: consentirebbe ai consumatori italiani di pagare meno il gas e soprattutto consegnerebbe all’Italia un ruolo geopolitico aggiuntivo in Europa che oggi non ha.
Ma poiché “nessun pasto è gratis”, occorre tenere a mente che il “reverse charge”, ovvero l’inversione del flusso delle forniture di gas da Nord a Sud, potrebbe riprodurre la dipendenza dell’Italia e dell’Europa da un Paese instabile, politicamente ambiguo e finanziare il riarmo di quella Russia che, attraverso gli accordi con Algeri, vorremmo invece isolare e prosciugare.
Gli interessi dell’Italia in Europa
Ecco perché occorrerebbe guardare subito oltre. Nell’immediato, assicurando i massicci programmi di investimento promessi ad Algeri a condizione che estrometta Mosca dalle forniture di armi; nel medio periodo – ma con decisioni da assumere oggi – puntando ad una indipendenza energetica europea da qualsiasi gas proveniente da aree politicamente esterne all’Occidente, che faccia perno sull’uso delle fonti energetiche rinnovabili finchè che si può, ma tenendo presente che non è con le rinnovabili che il Paese può sperare di sfamare il fabbisogno di energia dell’industria manifatturiera italiana.
L’esempio lo fornisce il ministro per la transizione ecologica quando afferma che il raddoppio di nuovi impianti di energie rinnovabili, reso possibile dal meritorio sfoltimento della burocrazia deciso in sei mesi sbloccando decisioni ferme da anni, porterà a sostituire appena il 2% del gas russo.
Occorre, dunque, prendere atto che se vogliamo l’indipendenza energetica, e di conseguenza preservare il nostro benessere economico e le nostre le libertà democratiche ed individuali servono scelte politiche che guardino al dopo emergenza e costruiscano l’indipendenza energetica dell’Italia e dell’Europa su un doppio architrave: l’uso industriale dell’idrogeno e del nucleare di terza generazione e un meccanismo di solidarietà all’interno di aree politico-economiche omogenee. Se non ora, quando?
(www.clubeconomia.it- 9 agosto 2022)
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