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Il rischio stagflazione è reale, ma non sarà né profonda né duratura

di Fabrizio Onida

Il rialzo dell’inflazione, che in Italia a maggio ha sfiorato il 7% su base annua, mai così alta dal 1986, registra picchi inattesi (dagli Usa all’intera Euroarea) alimentando molte previsioni di una prossima recessione, causata da sfiducia delle famiglie e revisione verso il basso dei piani di investimento delle imprese: il tristemente noto spettro della stagflation, combinazione perversa di inflazione persistente e (anche pesante) recessione.
Proviamo a ragionare sugli scenari che abbiamo davanti, evitando il noto pessimismo cronico di Nouriel Roubini che prevede una imminente crisi stagflazionista dei debiti pubblici (Project Syndicate, 29 giugno).

Innanzi tutto, perché abbiamo registrato la sorpresa di una impennata inflazionistica così alta? Le spiegazioni sono note: a) forti rincari dei beni energetici e di diverse materie prime non energetiche come effetto sia della guerra con la Russia che degli sconvolgimenti climatici; b) strozzature nelle catene di approvvigionamento causate da paralisi di molti importanti porti marittimi asiatici e americani; c) rimbalzo forte della domanda globale di beni e servizi che accompagna la tanto agognata riapertura delle attività economiche dopo la pausa imposta dalla pandemia nelle sue forme più pesanti, da cui il normale ritocco verso l’alto (ma anche spesso il sensibile rincaro) dei listini prezzi delle imprese, che si trasmette velocemente da monte a valle.

Tutto ciò sta comportando dolorosi tagli al potere d’acquisto dei consumatori con redditi e pensioni non indicizzati contro l’inflazione e sollecita misure anti-povertà e anti-precarizzazione dell’occupazione non solo giovanile. Al di là di qualche polemica pre-elettorale fra partiti, in Italia è auspicabile il mantenimento di misure strutturali come il reddito di cittadinanza, magari corretto per evitare abusi e mancanza di trasparenza. Altrettanto auspicabile è un riesame serio delle cause del mancato decollo effettivo della strumentazione pubblica per l’avvio al lavoro di giovani e meno giovani oggi tristemente lasciati ai margini della forza attiva di lavoro.
Ci sono fondate ragioni per prevedere che l’attuale ritmo di inflazione sia prossimo a rallentare e l’economia entri in una fase di crescita modesta o al più di recessione di breve durata. Sembra evitata una pericolosa fase di surriscaldamento dell’economia reale (Ignazio Visco all’assemblea ABI dell’8 luglio).

Primo, non occorre essere monetaristi ortodossi per ritenere che un raffreddamento dell’inflazione globale sia prossima conseguenza della netta inversione di tendenza delle banche centrali ovunque nel mondo. Dopo la eccezionale espansione dell’offerta di liquidità culminata a metà 2020 nel giusto tentativo di contrastare l’effetto recessivo della pandemia, le maggiori banche centrali stanno operando per rientrare verso tassi di espansione monetaria meno anomali, vicini al 5%. Nel giro di poche settimane la Federal Reserve USA ha frenato la crescita di M3 (l’indicatore a più ampia copertura statistica delle passività emesse da autorità monetarie e governo) da oltre il 25% all’8%. Meno drammaticamente ma in modo significativo, nel secondo trimestre 2022 la massa monetaria M3 della BCE ha decelerato verso una crescita del 5,6%.

Secondo, gli effetti di brusche inversioni di tendenza nel governo della moneta non sono tuttavia semplici da prevedere, al di qua e al di là dell’Atlantico, perché – come insegna la scienza economica almeno da Keynes in poi – entrano in gioco le aspettative dei diversi attori sul mercato. Diversi lavori recenti del Fondo Monetario Internazionale tentano di capire come gli shocks recenti (pandemia, incertezze sugli esiti della guerra in Ukraina, accelerazione dei cambiamenti climatici) stanno provocando mutamenti nelle aspettative di inflazione e crescita.

Purtroppo anche esercizi di simulazione con modelli econometrici sofisticati danno risultati assai incerti. Giocano fattori istituzionali e di comportamento delle parti sociali, che possono facilitare od ostacolare il raggiungimento dell’obiettivo di far rientrare le tensioni inflazionistiche senza pagare il prezzo di una fase recessiva dell’economia reale. Ad esempio, una inversione di tendenza della banca centrale verso una politica di restrizione monetaria troppo severa rischia non solo di: a) uccidere piani di investimento delle imprese con debole polmone finanziario e mettere in crisi famiglie gravate di debiti sulla casa, provocando una recessione macroeconomica severa, ma anche di b) essere interpretata come previsione ufficiale di prossima inflazione fuori controllo, accendendo così rivendicazioni di recupero salariale da parte dei sindacati dei lavoratori, in tal modo innescando la nota pericolosa spirale prezzi-salari-prezzi che da sempre è foriera di una dannosa prolungata stagflazione. La storia è ricca di “profezie che si autoavverano”.

Lo stesso governatore Ignazio Visco ha messo in guardia contro manovre di restrizione monetaria e fiscale che innescano effetti recessivi quando ormai la durata degli shocks si è esaurita.

Terzo, ci sono segnali di allentamento dei principali nodi nel traffico marittimo internazionale (incluso l’intasamento dei grandi porti cinesi) che sono all’origine della crisi di molte catene di approvvigionamento lungo le catene globali del valore. Le tariffe dei noli marittimi sono già scese del 30% dal picco di fine 2021 (P.Krugman, New York Times, 1 luglio).

Una digitalizzazione accelerata nel settore pubblico di molti paesi dà un favorevole impulso all’efficienza dal lato dell’offerta di beni e servizi, che contribuisce a raffreddare le pressioni inflazionistiche (M.Spence, Project Syndicate 1 luglio).

Nel medio termine vi è il nodo della produttività, che da circa 30 anni appesantisce le sorti del nostro paese perché la riconosciuta eccellenza delle nostre imprese manifatturiere al di sopra delle piccolissime dimensioni non basta a neutralizzare la perdurante inefficienza e scarsa innovazione in ancora ampie fasce dei servizi pubblici e privati. Speriamo siano attendibili le conclusioni di alcuni studi che il Governatore Ignazio Visco segnalava al Global Forum on Productivity (co-organizzato dalla presidenza italiana del G20 a Venezia il 9 luglio 2021), secondo cui lo shock pandemico potrebbe dare un impulso alla produttività stimolando innovazioni organizzative e nuove forme di organizzazione del lavoro.

(Sole 24 Ore, 12 luglio 2022)

Fonte: Sole 24 Ore, 12 luglio 2022

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