di Bruno Costi
Al di là della pur nobile retorica europeista o della solidarietà per le 35 mila vittime del Covid, c’è una sola ragione per la quale l’Europa ha deciso di dare all’Italia la parte maggiore degli aiuti e dei prestiti (209 miliardi di euro) del Next Generation Plan: per salvare sé stessa e le singole economie, principalmente francese e tedesca, dal disastro che accadrebbe se l’edificio europeo venisse giù.
Ma perchè dovrebbe venir giù? Davvero, senza il Next Generation Plan europeo, l’edificio rischierebbe di crollare trascinando nel caos valutario e finanziario tutto il mondo?
Si, le cose stanno esattamente così, (e non è detto che il rischio sia del tutto scongiurato), perchè la pandemia ha sprofondato le economie europee nella peggior crisi dagli anni ’30 del secolo scorso, ben oltre quella vissuta nel dopoguerra. Il reddito degli europei diminuirà quest’anno mediamente del 8,7% ed in Italia dell’11,2 %; cose mai viste prima, che per noi sono ancora peggiori perchè si innestano su un livello di reddito che ancora non aveva recuperato la situazione precedente la crisi del 2008, mentre quei livelli sono stati interamente recuperati dai nostri principali partner europei.
Ma c’è una specificità tutta italiana in questa crisi generalizzata che la pandemia ha accelerato: da oltre vent’anni, cioè da prima che adottassimo l’euro come moneta comune europea, il paese sta declinando nei suoi dati economici principali. La distanza tra la produttività italiana e quella europea, ovvero la nostra minor capacità di produrre meglio beni e servizi per ogni ora lavorata, si allarga anno dopo anno da un ventennio: è cresciuta dello 0,4% in 16 anni, mentre in Francia, Regno Unito e Spagna del 15% e in Germania del 18% (dati Istat 2000-2016) ed oggi è 8 volte più bassa della media europea e 10 meno che in Germania.
Il “paracadute” che ha in parte frenato la caduta è l’export delle nostre aziende, quelle che per sopravvivere devono battere la concorrenza estera aumentando la produttività del lavoro, l’innovazione della fabbrica e la competitività dei prodotti. E dobbiamo essergliene grati. Ma il loro contributo al prodotto nazionale è di appena il 30%, c’è quel restante 70% di economia interna, sempre più inefficiente, protetto e assistito, che zavorra il Paese come un macigno al piede di chi dovrebbe nuotare nel mare dei commerci mondiali.
Protezione ed assistenzialismo, troppa attenzione alla distribuzione del denaro e poca all’accumulazione degli investimenti, hanno ridotto le dotazioni di capitale, sia pubblico che privato. I sussidi hanno fiaccato la voglia di cercare lavoro e di crearlo, aumentato il debito pubblico e gonfiato le mal distribuite ricchezze private.
Ma se l’Italia non facesse parte dell’Unione europea e soprattutto fosse fuori dall”Euro, a Bruxelles si potrebbe ben dire “ peggio per voi”. Il fatto è che siamo dentro l’Unione Europea, siamo il terzo paese per popolazione, la seconda industria manifatturiera, la terza economia del continente, il secondo maggior esportatore e, soprattutto, siamo comproprietari di poco meno di un quinto del peso dell’Euro che è la moneta in tasca a 300 milioni di europei. Troppo grandi per fallire, senza trascinare nell’abisso anche gli altri.
La decisione del Consiglio Europeo del 21 luglio 2020 è davvero un punto di svolta epocale nella politica europea, soprattutto nella qualità delle decisioni. Perchè emettere prestiti europei condividendo il debito significa anche condividere i destini e fare un passo importante per la costruzione di un’Europa politica. Sostituire alla politica dei soli prestiti pedagogici e correttivi adottata per la Grecia, quella dei regali di denaro ai singoli paesi, poi, non è mai accaduto ed è il segno della ritrovata, ma anche un po’ obbligata, solidarietà.
Con tale decisione l’Europa, principalmente Germania e Francia che sono gli “amministratori” del “condominio” europeo, hanno preso atto che la strategia dei prestiti condizionati, delle lettere diktat della BCE, delle minacce e delle sanzioni, delle procedure di infrazione e l’arma dello spread, contro l’Italia non funzionano ed, anzi, si ritorcono contro l’intero “Condominio” che senza l’Italia fallirebbe.
Ora provano con i regali, le carezze ed i petali di rose: dei 209 miliardi da impegnare nei prossimi 18-24 mesi, il 40% sono regalati e per il resto prestati quasi senza interessi , purchè il Paese si dia una scossa, faccia diventare giustizia e burocrazia un motore di sviluppo anziché un freno, investa in opere pubbliche e autostrade fisiche e digitali (banda larga) con le quali si crea lavoro ed occupazione e si evitano disuguaglianze. Si pensi al 60% dei bambini che non hanno potuto fare lezione on line per mancanza di connessione internet. Sarà dura, perchè significherà intaccare, lobbies, protezioni ed orticelli di potere che scambiano con la politica denaro e favori contro voti e consenso.
In tale contesto è fondato il trionfalismo del presidente del Consiglio? E che parli di storico successo del governo che ha difeso con tenacia gli interessi nazionali? Gli siamo grati ma era lì per questo e ci mancherebbe che avesse fatto il contrario. La realtà è che si è trovato casualmente ad essere lì, a capo del governo, in un momento storico unico e quasi irripetibile, che Francia e Germania non intendono consegnare l’Italia ai sovranisti, che Angela Merkel , arrivata all’ultimo miglio della sua ventennale carriera politica, vuole passare dalla cronaca alla storia e che il fallimento del “pugno di ferro” usato con la Grecia ha convinto l’Europa che è meglio provare ad usare il “guanto di velluto”. Sperando che funzioni.
(www.clubeconomia.it del 23 luglio 2020)
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