di Giuliano Cazzola
L’Europa il Piano Marshall deve farselo da sola. Ed è impegnata in quest’operazione. Tutti i Paesi, (compresa l’Italia con l’impegno di 75 miliardi) hanno predisposto dei piani congiunturali rivolti al sostegno delle famiglie, delle imprese e dei servizi. Quello della destra sovranista è il rifiuto di una prospettiva politica che, per tenere, ha la necessità di scivolare nella ideologia
“Serve una rotta concreta: è il senso del piano di rilancio che stiamo mettendo in opera. Abbiamo parlato di un nuovo piano Marshall ma perché non chiamarlo piano De Gasperi? Lancio qui la proposta. Lo svilupperemo con tutte le istituzioni europee e i 27 Stati membri”. Chi ha parlato così è il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nel suo intervento, in videoconferenza, a ‘The State of the Union””.
Il tema del Piano proposto nel 1947 da George Marshall, già capo di Stato Maggiore dell’Esercito Usa, durante la Seconda Guerra Mondiale, poi Segretario di Stato sotto la presidenza di Harry Truman, è entrato a far parte del dibattito in corso per la ricerca di una uscita di sicurezza dopo gli effetti devastanti della pandemia sull’economia globale e sui mercati internazionali. Si trattò di una scelta lucida e lungimirante con la quale gli Usa, vincitori della guerra, si impegnavano a svolgere un ruolo di guida nella ricostruzione e nella conquista di una pace solida e duratura.
È ciò che era mancato alla fine della Grande Guerra. Le truppe americane erano state determinanti nella sconfitta degli Imperi centrali. Il loro massiccio intervento aveva cambiato le sorti del conflitto. Il presidente Woodrow Wilson – che aveva voluto la partecipazione del suo Paese nel conflitto e che fu il principale protagonista della Conferenza di Versailles promuovendo la costituzione della Società delle Nazioni, come strumento di composizione delle controversie internazionali – venne sconfessato dal Congresso che, in un raptus isolazionista, non approvò i trattati, costringendo Wilson ad una sostanziale emarginazione politica che lo condusse in breve tempo alla morte. Abbandonata a se stessa, alle sue inimicizie storiche non sopite, alla contesa sulle risorse del carbone e dell’acciaio, l’Europa si trovò a vivere un ventennio di armistizio tra le due grandi tragedie del “secolo breve”: un armistizio che tornò ad essere guerra aperta il 1° settembre del 1939 quando la Germania di Hitler – a cui la Francia e il Regno Unito avevano fatto delle concessioni vergognose – invase la Polonia (in combutta con l’Urss di Stalin).
Winston Churchill commentò il Patto di Monaco del 1983 con queste parole profetiche: “Per evitare la guerra avete scelto il disonore. Avrete il disonore e la guerra”. L’amministrazione americana nel secondo dopoguerra (già la Carta Atlantica aveva tracciato la rotta) comprese che era necessario recuperare anche i Paesi sconfitti ad una prospettiva di ricostruzione e di pace. A parte i soccorsi di carattere alimentare, il Piano Marshall si rivolgeva anche all’Urss e ai Paesi europei di quell’area di influenza (allora i partiti comunisti non avevano ancora preso il potere e costituito le democrazie popolari). La cosa suscitò un dibattito anche in quel mondo, chiuso dal niet di Stalin, dettato da motivi politici, a cui si attennero sia i governi dell’Europa dell’Est sia i partiti comunisti dei Paesi occidentali dall’opposizione (il Pci e il Pcf). Il Piano, non si limitava a fornire risorse importanti nell’arco di un quinquennio, ma orientava la riconversione e la ricostruzione degli apparati industriali verso nuovi obiettivi produttivi: i beni di consumo durevoli a partire dall’automobile fino ai c.d. elettrodomestici bianchi. Il che ovviamente richiedeva investimenti nelle infrastrutture (le autostrade) e nell’industria di base (la siderurgia, l’energia e la petrolchimica). Il miracolo economico (pur con tutti i suoi squilibri: l’immigrazione interna, il dualismo Nord-Sud, ecc.) si basò su tali scelte. E l’economia italiana si mise al traino dell’export (la caratteristica che l’ha contraddistinta in tutti questi decenni). Ma lo sviluppo dell’Italia (a cui diede un grande contributo l’edilizia urbana) era in sintonia con un mercato che, per quanto riguardava l’offerta, condivideva i medesimi orientamenti della domanda. E la svolta verso l’economia di mercato e il libero commercio si trasformò in breve tempo in un’alleanza politico-militare (il Patto Atlantico e la Nato), che favorì il sorgere di una comunità europea, democratica e aperta.
Questa volta, come ha detto Mario Monti, l’Europa il Piano Marshall deve farselo da sola. Ed è impegnata in quest’operazione; l’Italia deve prendervi parte. Non è per perder tempo o per risparmiare che il pacchetto di risorse (2,4 mila miliardi) che la Ue sta predisponendo si articola in una prospettiva temporale che arriva al 2027. Tutti i Paesi, (compresa l’Italia con l’impegno di 75 miliardi) hanno predisposto dei piani congiunturali rivolti al sostegno delle famiglie, delle imprese e dei servizi allo scopo di assicurare quella liquidità che serve a sopravvivere e a ripartire, dopo lo shock del lockdown. Ma la svolta dipenderà non solo da obiettivi ma da progetti comuni a livello comunitario, che richiederanno un rafforzamento dell’integrazione economica e fiscale e un salto anche sul piano istituzionale verso una più compiuta sovranità europea.
Ecco perché non è incomprensibile (come può sembrare a livello del buon senso comune) l’ostilità dei sovranpopulisti di casa nostra nei confronti del piano europeo. Il loro no ingiustificato a livello economico è il pretesto per un no al progetto politico. L’Unione europea ha svoltato e si sta assumendo il compito di guidare quella parte del mondo che una volta era definito l’Occidente fuori dalla crisi, dal momento che a questo ruolo storico hanno rinunciato gli Usa di Trump e il Regno Unito della Brexit. Quello della destra sovranista è il rifiuto di una prospettiva politica che, per tenere, ha la necessità di scivolare nella ideologia. La Lega e FdI usano i medesimi argomenti con i quali sia Togliatti che Thorez si adeguarono all’ukase di Mosca. Basta riprodurre una conversazione che, con personaggi diversi, sembra avvenuta l’altro ieri. Si tratta del resoconto di un colloquio tra Stalin e il segretario del Pcf Maurice Thorez nel novembre del 1947 a proposito del Piano Marshall: “I comunisti sono a favore di prestiti – diceva il Piccolo Padre – purché non tocchino la sovranità del Paese; e sono contrari a condizioni soggioganti che danneggino l’indipendenza francese. Ecco come i comunisti – concludeva Stalin – devono presentare il problema”. In quegli anni lo specchio per allodole dell’Urss aveva la capacità di deformare la realtà agli occhi delle masse. Ma Salvini – per sua e nostra fortuna – non è Josif Stalin. Anche questa volta, nella storia, il remake delle grandi tragedie si trasforma in commedia buffa; e finisce a torte in faccia.
Fonte: da Formiche del 05/07/2020