di Carlo Clericetti
Essere contrari a ciò che prevede il “Decreto dignità”, che aveva posto un timidissimo e parziale limite all’abuso dei contratti precari, è ovviamente del tutto legittimo. Ciò che invece fa perdere la dignità, e non solo quella del nome del decreto, è motivare l’obiettivo di sospenderlo per molto tempo (con il chiaro intento di abolirlo) ignorando i fatti, o addirittura falsandoli clamorosamente. Come ha fatto la sottosegretaria al Lavoro piddina Francesca Puglisi, che a “L’aria che tira” su La7 ha affermato che “I dati ci dicono che il Decreto dignità non ha creato maggiore stabilità ma solo maggior turn over” (verso il min. 37). Non ci resta che pubblicare per la terza volta il grafico che mostra come quanto avvenuto sia esattamente l’opposto di ciò che ha affermato Puglisi.
Certo questo non scoraggerà la giornalista del Corriere Maria Teresa Meli, che ha affermato, nella stessa trasmissione, che “il presidente dell’Inps dice numeri a caso”, e ha definito il decreto “un’oscenità” e che è stato “nociva anche prima del Covid”. Questi giudizi da “bar sport”, non supportati da dati, sono fastidiosi quando a esprimerli è un politico; se a farlo è una giornalista, dovrebbe solo vergognarsi. Ma a suo beneficio riproponiamo un altri grafico – questa volta di fonte Istat, visto che di Tridico non si fida – sull’andamento dell’occupazione dopo il decreto dignità (entrato in vigore il 1° ottobre 2018) e prima della pandemia.
Poco più tardi (a “8 e mezzo” di Lilli Gruber) è toccato al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri dire la sua sull’argomento. Da politico navigato è stato molto più cauto e ha ipotizzato solo un rinvio della sospensione fino a fine anno (e non anche per tutto il 2021, come Puglisi). Ha solo sottinteso che il decreto ostacoli l’occupazione, come se fosse una cosa scontata: ma, come abbiamo visto, scontata non lo è affatto.
E allora perché quella posizione? Ci sembra di aver capito che per Gualtieri la politica è soprattutto arte della mediazione. C’è una parte – gli imprenditori e coloro che sostengono qualsiasi loro richiesta, come Italia Viva e vari esponenti Pd – che chiedono quel provvedimento a gran voce; un’altra parte – i 5S – che si oppongono all’abolizione: la mediazione è sospenderlo. Intanto, poi si vedrà. Che la richiesta di abolizione sia motivata conta poco o nulla, ciò che conta è che quella richiesta ci sia e che quindi si trovi un accordo accettabile da tutti. Certo, la politica è l’arte del compromesso, ma se è solo quello diventa una ben misera cosa.
Il fatto è che Gualtieri, che non è un economista ma uno storico, ha scelto come consigliere economico – ruolo che, in questa situazione, è di grande rilevanza – quel Marco Leonardi che faceva parte della pattuglia degli economisti renziani, che ha partecipato all’elaborazione del Jobs act e ci teneva tanto da sostenere con l’Istat che aveva fatti aumentare di un milione i posti di lavoro. Non era così, e l’Istat ovviamente non gli diede retta. Ma l’episodio è significativo per comprendere l’atteggiamento di Leonardi verso le questioni del lavoro.
Gualtieri e Conte hanno un compito difficile. Devono tenere insieme una maggioranza eterogenea che si trova ad affrontare una crisi economica di cui non si ricorda l’uguale. E’ bene che siano lì perché l’alternativa è peggio. Ma non stanno facendo un buon lavoro, tutt’altro: il governo continua a lasciarsi guidare dalle idee fallimentari che ci hanno fatto arrivare alla crisi del Covid già in pessime condizioni, non sembra avere alcuna strategia alternativa (anzi, nessuna strategia in assoluto), dà la netta sensazione di affastellare misure sperando che a mettere tutto a posto ci pensi “la mano invisibile”, che è un po’ come affidarsi alla divina provvidenza. Per chi non crede né all’una né all’altra, è difficile trovare un briciolo di ottimismo.
Fonte: dal blog di la Repubblica del 20 GIU 2020