di Paola Pilati
Una carezza e un pugno. La carezza di Ignazio Visco nel suo messaggio annuale in occasione dell’assemblea di bilancio della Banca d’Italia è l’incoraggiamento riguardo alle potenzialità del paese, alle sue capacità e risorse sia fisiche che immateriali. Un incoraggiamento caloroso e ripetuto sui punti di forza della nostra economia, sulla flessibilità della struttura manifatturiera, sulla solidità della ricchezza delle famiglie e del sistema finanziario.
Il pugno è nell’ammonimento severo a non perdere l’occasione di questa crisi per rimettere sul cammino della crescita un’Italia che rischia la caduta fino al 13 per cento del suo PIL nel 2020 (figura 1). Un’occasione unica, che gli altri paesi europei non perderanno, e che per noi è tanto più preziosa in quanto ci presenta la possibilità di attingere a risorse inimmaginabili fino a pochi mesi fa, utilizzabili per far fare al sistema economico-sociale un salto di qualità ed efficienza.
Dal balcone virtuale di via Nazionale, Visco rafforza il suo personaggio di “papa laico” che ha sempre caratterizzato i suoi interventi solenni, quelli in cui si rivolge non solo agli addetti ai lavori del mondo bancario e alla platea dei suoi azionisti, ma al paese e soprattutto ai suoi governanti.
Per questi ultimi il messaggio è forte e chiaro. Se nel breve periodo siamo in grado di vedere le necessità concrete indotte dalla pandemia e sappiamo contrastarle, il problema è la difficoltà di intuire come si ricomporrà il puzzle a fine crisi, quale sarà l’assetto della “nuova normalità”. Esercizio quasi impossibile. Ma nel cammino verso quella nuova realtà, dice Visco, occorre “che siano rapidamente colmati i ritardi e superati i vincoli già identificati da tempo. Oggi più di prima, perché una cosa è sicura: finita la pandemia avremo livelli di debito pubblico e privato molto più alti e un aumento delle disuguaglianze, non solo di natura economica. Solo consolidando le basi da cui ripartire sarà possibile superare con successo le sfide che dovremo affrontare”.
I due monitor che i governi dovranno tenere sempre accesi sul tavolo senza mai distrarsi sono insomma quello del carico di debito pubblico in aumento, e quello della crescita delle ingiustizie sociali. Due fattori esplosivi.
La sostenibilità del debito, garantisce Visco, non è in questione. Affermazione che fa eco a quella lanciata ieri dalla Bce da Christine Lagarde, e che spalma unguenti benefici sulle tensioni dei mercati, quelli che ci mettono dietro la lavagna con lo spread più alto nell’eurozona, doppio di quelli di Spagna e Portogallo (figura 2). Ma forse vuole anche scoraggiare chi evoca ridenominazioni del debito o misure patrimoniali sui cittadini.
Eppure, se la sostenibilità del debito pubblico non è in discussione, il suo livello in rapporto al prodotto resta troppo alto: arriverà al 156 per cento. Il risultato è un nodo scorsoio alla gola del paese: ne impedisce la crescita, e da questa bassa crescita viene a sua volta alimentato. Uscire dall’impasse si può, dice Visco. Come?
Una mano importante la può dare la produttività: meno di un punto percentuale di incremento della produttività del lavoro – incremento assolutamente modesto e raggiungibile – può riportare il ritmo del Pil all’1,5, il passo che ha tenuto dei dieci anni precedenti la crisi finanziaria globale.
Per crearne le condizioni il ruolo pubblico è certamente importante, perché può agire sulle infrastrutture del paese, quelle materiali come i trasporti e le reti di telecomunicazioni, quelle immateriali come un’istruzione che migliori il capitale umano e attenui le disuguaglianze di reddito e opportunità. E su una riforma del fisco che recuperi l’evasione e l’economia sommersa (fenomeni tutti italiani, osserva il governatore). Ma anche le imprese devono fare la loro parte.
Nel messaggio agli imprenditori il governatore ha mantenuto un profilo basso. Non sono il suo interlocutore diretto. Ma non si può non mettere a confronto la linea scelta dalla Confindustria del neo presidente Bonomi, molto critica e aggressiva nei confronti delle scelte economiche del governo, e con richieste sempre più incalzanti di interventi e aiuti, con un dato presente nelle Considerazioni finali che suona come un messaggio in bottiglia. Quello degli investimenti.
Si registra una forte e diffusa tendenza degli imprenditori a tenere i remi in barca, a rivedere al ribasso i piani di investimento, si osserva nelle Considerazioni finali. E questo benché il sistema delle imprese non sia nel suo insieme sovra-indebitato: alla fine del 2019 il debito delle imprese era pari al 68 per cento del PIL, contro il 108 medio dell’area dell’euro e con valori superiori al 150 per cento in Francia e nei Paesi Bassi.
Invece questo è proprio il momento per le imprese di muoversi, di sapere che “per essere competitive devono investire in nuove tecnologie e in innovazione, aprirsi a capitali e professionalità esterne, curare la formazione del personale: possono puntare a crescere solo innalzando l’efficienza dei processi di produzione e la qualità dei beni e dei servizi offerti”. E Visco ricorda agli industriali che “gli incentivi disponibili non sono affatto irrilevanti. La positiva esperienza delle misure di aiuto alla crescita economica (ACE) e di Industria 4.0 può essere valorizzata, razionalizzando e dando stabilità agli strumenti, offrendo certezze a chi vuole affrontare la sfida dell’innovazione”. Insomma, il messaggio è: muovetevi anche voi.
Che cosa accadrebbe se appunto si ritornasse a camminare con un PIL all’1,5? “Con un tasso di crescita dell’economia compreso tra l’uno e il due per cento, e con la riduzione del differenziale di rendimento dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi su valori in linea con i fondamentali delle due economie, un avanzo primario della misura indicata (dell’ordine dell’1,5 per cento del PIL, quale quello osservato negli ultimi sei anni, ndr.) sarebbe sufficiente per ridurre il peso del debito sul prodotto di circa due punti percentuali in media all’anno. Crescita e politiche di bilancio si rafforzerebbero le une con le altre, in un circolo virtuoso che il nostro paese è in grado di attivare”.
Ma non c’è nessun benessere per l’Italia senza l’Europa. Non solo perché è lì il 50 per cento delle nostre esportazioni. Anche perché la pandemia ha dimostrato quanto è importante appartenere a quest’area, in termini di strategia comune e in termini di risorse, sulle quali la Commissione offre opportunità imperdibili con i vari strumenti messi a disposizione.
Infine un messaggio sulle banche, le sue vigilate, le sue pecorelle. Con cautela, ma anche senza peli sulla lingua, Visco spezza una lancia in loro favore per difenderle dall’onda di critiche che le hanno sommerse per non sapere velocizzare l’erogazione degli aiuti.
È forse in parte una difesa d’ufficio, visto che il governatore non tace che siano state “frizioni” nell’erogazione dei prestiti assistiti. Ma spiega anche le banche che omettono di valutare il merito di credito di chi chiede il denaro le espone al rischio di commettere reati. Che ci sono i controlli antimafia e antiriciclaggio, e che evitare che le garanzie pubbliche “vadano a coprire finanziamenti di assai improbabile restituzione o che si prestino al possibile utilizzo da parte della criminalità”, vuol dire tutelare lo Stato.
Come impatterà la crisi sul sistema bancario? Le banche sono entrate nella pandemia in condizioni di maggiore forza rispetto a quella in cui si trovavano prima della doppia recessione del 2008-2013. “Il rapporto tra il capitale di qualità primaria e l’attivo ponderato per i rischi è aumentato dal 7,1 per cento del 2007 al 13,9 dello scorso dicembre. I bilanci sono stati liberati di gran parte dei crediti deteriorati, diminuiti di due terzi negli ultimi quattro anni. Nel primo trimestre di quest’anno la condizione patrimoniale del settore bancario è ulteriormente migliorata; vi ha contribuito la scelta di non distribuire dividendi, seguendo le raccomandazioni delle autorità di vigilanza”, spiega il governatore (figura 3).
Ma nel “medio periodo, malgrado i progressi conseguiti negli ultimi anni, la profondità della recessione non potrà non avere effetti sui bilanci bancari. L’aumento dei crediti deteriorati andrà affrontato per tempo, facendo ricorso a tutti i possibili strumenti, inclusi quelli per la ristrutturazione dei finanziamenti e la loro vendita sul mercato. Qualora dovesse rivelarsi necessario, si dovrà essere pronti a percorrere soluzioni che salvaguardino la stabilità del sistema, valutando il ricorso a strumenti che agiscano in via preventiva per banche che versino in una situazione di serie, anche se presumibilmente temporanee, difficoltà”.
È questo il passaggio più sibillino delle Considerazioni finali. Tra gli strumenti di intervento a cui si allude c’è certamente quello della ricapitalizzazione precauzionale prevista dalla Direttiva recupero. Ma non riguarda tutte le banche: qualsiasi aiuto di emergenza potrà arrivare solo alle banche in “temporanea difficoltà”, non a quelle decotte. Perché di certo, se non si attiveranno reti di salvataggio, nel 2021 la crisi del Covid sulle imprese più fragili potrà trasformarsi in un conto salato che pagheranno proprio le banche.
(Financial Community Hub -maggio 2020)
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