• giovedì , 21 Novembre 2024

Cosa deve fare l’Italia per affrontare la crisi economica

di Mario Baldassarri

Ad oggi il governo italiano ha varato per il 2020 due decreti, Cura-Italia a marzo e Liquidità-Imprese ad aprile. Il decreto Cura-Italia introduce la cig per tutti i lavoratori dipendenti per nove settimane e un bonus di 600 euro per i lavoratori autonomi titolari di partita Iva. Come indicato nel recente Def, vale circa 19 miliardi di euro (1% del pil) e non 25. Il decreto Liquidità-Imprese prevede fino a 25.000 euro una garanzia dello Stato al 100%. Nonostante questo le banche fanno la loro istruttoria.

Se arriveranno questi prestiti saranno pochi e liquidi forse a fine maggio. Per crediti superiori ai 25.000 euro, la garanzia dello Stato scende tra il 90% e il 70%. Le banche quindi giudicheranno il merito di credito e, laddove questo non ci fosse, respingeranno le richieste. Sta di fatto che degli sbandierati 400 miliardi di crediti saranno effettivamente poche decine di miliardi e arriveranno tra uno o due mesi. Qui c’è comunque un decisivo punto di chiarezza da fare. Tutte le imprese e i lavoratori autonomi che hanno dovuto chiudere l’attività a seguito di un decreto dello Stato hanno perso settimane e mesi di fatturato.

Questo è il danno “economico” che hanno subito e questo danno non può essere compensato con prestiti bancari. Il danno “economico” va risarcito con trasferimenti a fondo perduto, come chiaramente indicato anche da una recente Nota-Covid della Banca d’Italia dello scorso 15 Aprile. Risarcimento del danno economico e liquidità non possono essere posti in alternativa, debbono procedere in parallelo. E comunque il risarcimento del danno è pregiudiziale per evitare una enorme moria di imprese che non si fronteggia certo con un po’ più di credito bancario.

Peraltro, sul piano della liquidità disponibile per le imprese sarebbe molto più serio, molto più immediato e molto più efficace se le pubbliche amministrazioni pagassero finalmente quegli oltre 50 miliardi di debiti che ancora oggi hanno verso le stesse imprese. Per l’immediato manca allora una colonna portante per il sostegno alle imprese e ai lavoratori autonomi che è quella dell’indennizzo a fondo perduto dei mancati ricavi dovuti alla chiusura dell’attività, facilmente parametrabili e verificabili se riferiti al fatturato dichiarato nel 2019. 2 Senza questo pilastro, ci troveremo in autunno a ripartire con un tessuto produttivo “ristretto” al 50% delle imprese.

Vengo ora alle prospettive economiche. Nel primo semestre di quest’anno il pil è sceso al -15%. Se nel secondo semestre si avvierà una ripresa, la crescita italiana nel 2020 sarà al -10% e la disoccupazione volerà verso il 15%. Di conseguenza il deficit pubblico si attesterà attorno a 180 miliardi (l’11% del pil) ed il rapporto tra debito pubblico e pil balzerà oltre il 160% del pil. Nel 2021, potrà esserci una ripresa attorno al 3% del pil, ben lontana dal poter fronteggiare la disoccupazione e le condizioni di finanza pubblica.

Il tasso di disoccupazione scenderebbe di un punto, il deficit potrebbe contenersi all’8% del pil, ma il rapporto debito/pil continuerebbe a crescere verso il 170% del pil. Questo è il quadro del Centro Studi Economia Reale. Il quadro di previsione che il governo ha indicato nel Def è invece un po’ più ottimista. La caduta del pil sarà quest’anno attorno al -8% e sarà seguita da un rimbalzo al +4,7% nel 2021.

Questo più ottimistico profilo di crescita per l’Italia dipende, come è scritto nel Def, “dall’esterno” da altrettanto ottimistiche previsioni sull’economia mondiale. Si dice infatti che il commercio mondiale sarà al -2,5% nel 2020 e crescerà dell’1,1% nel 2021. Il pil mondiale senza l’Unione Europea risulterebbe in crescita dello 0,5% quest’anno con un rimbalzo al +5,8% nel 2021.

Il pil dell’Eurozona è dato scendere del -7,7% per poi crescere al 6,3% nel 2021, cioè di più del pil del resto del mondo. Da qui questi numeri ottimistici sulla crescita segue una ancora più ottimistica previsione della disoccupazione che passerebbe dal 10% del 2019 “soltanto” tra il 2019 ed il 2021! all’11,6% quest’anno, per ridiscendere all’11% nel 2021. Pertanto una grande crisi mondiale, europea ed italiana (più profonda della grande crisi degli trenta) si risolverebbe con un aumento della disoccupazione dell’1% Anche gli andamenti di finanza pubblica non sembrano recepire pienamente la “grande crisi” che abbiamo di fronte.

Nel conto consolidato delle Pubbliche Amministrazioni (Tav. II 2-1 deficit pubblico sarebbe di “soli” 118 miliardi in questo 2020 e di 75 miliardi l’anno prossimo. La pressione fiscale, dal 42,4% del 2019, salirebbe al 42,5% nel 2020 ed al 43,3% nel 2021. Il rapporto debito/pil salirebbe al 155% quest’anno e scenderebbe al 152% nel 2021. Per di più, come sempre, nel bilancio pubblico si prevede di spendere, come fatto negli ultimi venti anni, circa 55 miliardi di Fondi Perduti, correnti e in conto capitale.

Sarebbe allora il caso di dire, almeno questo anno, che quelle risorse già scritte a bilancio devono servire per pagare un indennizzo a fondo perduto a tutte le imprese ed ai lavoratori autonomi per il mancato fatturato dovuto alla chiusura 3 per decreto delle loro attività, facilmente e giustamente calcolabile sulla base di quanto dichiarato lo scorso anno. A ogni buon conto, rispetto a questo quadro, l’Europa ha fatto molto, ma non basta. L’Italia dovrebbe usare tutte le risorse disponibili da giugno sul fronte europeo e partecipare alla concreta definizione entro giugno del Recovery Fund che dovrebbe rappresentare la vera risposta europea alla crisi.

Ma, dopo i minuscoli interventi di marzo e aprile e sperando che arrivi subito alle imprese l’indennizzo a fondo perduto, l’Italia ha bisogno ora di una manovra forte e strutturale da fare subito per il 2021 che in termini quantitativi deve essere pari a non meno del 5% del pil, in valore assoluto non meno di 100 Mld di euro. Sotto il profilo qualitativo essa dovrebbe operare con una decisa rimodulazione delle principali voci del bilancio pubblico con spostamenti di spesa pubblica e di imposte e tasse partendo dai 900 miliardi di euro di spese e dagli 840 miliardi di euro di imposte e tasse.

Il 50% della manovra dovrebbe trovare le coperture all’interno del bilancio, il restante 50% sarebbe finanziato in deficit, nell’ambito delle nuove possibilità di finanziamento europeo. L’uso dei quattro strumenti europei, come indicato in precedenza, apre la possibilità per l’Italia di ricevere circa 100 miliardi di finanziamenti e circa 150 miliardi di titoli italiani acquistabili dalla Bce. Si potrebbero tagliare almeno 25 miliardi di euro sugli 80 di Tax Expenditures e 25 miliardi di euro di fondi perduti, su un totale di 60 miliardi, erogati in conto capitale ed in conto corrente.

Queste risorse potrebbero finanziare, in primis, 20 miliardi da investire nella sanità, 45 miliardi con una riforma strutturale dell’Irpef con sgravi alle famiglie ed ai lavoratori con reddito medio e basso e 25 miliardi con un intervento sul cuneo fiscale e contributivo a favore delle imprese, ad esempio, con l’azzeramento dell’Irap. I restanti 10 miliardi finanzierebbero maggiori investimenti pubblici. Da varie parti in Europa, e non senza ragioni, si ha il timore che i maggiori finanziamenti europei possano consentire all’Italia di “non” procedere con riforme strutturali per tagliare sprechi e malversazioni di spesa pubblica e per attuare una seria lotta all’evasione. Sarebbe quindi un segnale di forte determinazione verso l’Europa e verso i mercati se, dopo il Def, seguisse ora una Legge di bilancio per il 2021 da approvare in Parlamento entro l’estate.

 

(Il Foglio dell’8/5/2020)

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