di Carlo Clericetti
“Il dentifricio Biancodent è il più usato dai dentisti!”, assicura uno spot pubblicitario. Ci credete? Sì? Bene, allora potete credere anche che il piano contro la disoccupazione annunciato dalla presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen sia un ottimo piano. Non per nulla l’astuto commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ex premier italiano ed ex sodale di Matteo Renzi, l’ha coperto di lodi. Certo, Gentiloni non è espertissimo di economia, ma si è assicurato come capo di gabinetto un economista che sta a Bruxelles da una vita, Marco Buti. Buti è stato dal 2008 e fino all’insediamento di questa nuova Commissione direttore generale per gli Affari economici e finanziari, cioè il responsabile tecnico di tutte quelle “raccomandazioni” che ci imponevano di rispettare i parametri europei e di flessibilizzare il mercato del lavoro. Con uno così esperto che consiglia il nuovo Commissario, possiamo stare tranquilli.
Eppur nel coro di lodi (mica solo di Gentiloni) per questa nuova iniziativa (SURE: Support to mitigate unemployment risks in emergency) c’è qualche voce stonata. Una è quella di Stefano Fassina, deputato di LeU, che un po’ l’economia la conosce. Dopo la laurea alla Bocconi è stato per qualche anno al Fondo monetario internazionale e alla Banca di sviluppo inter-americana. E’ stato anche vice ministro dell’Economia per il Pd nel governo Letta, per poi dimettersi e lasciare il partito di cui non condivideva più la politica.
Fassina ha diffuso un breve commento che vale la pena di riportare per intero.
“È un grande bluff. E’ diventata propagandistica la comunicazione della Commissione europea. Stamattina, nel suo intervento su La Repubblica, la Presidente Von der Leyen ha illustrato la grande solidarietà europea a fondamento del Sure, il programma progettato da Bruxelles per il sostegno al reddito di lavoratrici e lavoratori degli Stati Ue più colpiti dal Coronavirus. La Presidente si è dimenticata di ricordare che le risorse eventualmente trasferite allo Stato richiedente sono un prestito, quindi debito pubblico aggiuntivo, da ripagare. Nella celebrazione, è stato anche omesso che ciascuno Stato dell’Ue deve dare garanzie irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili alla Commissione affinché la Commissione possa emettere sul mercato i titoli necessari a raccogliere le risorse da prestare agli Stati in difficoltà. Nella narrazione, è poi saltato che la partecipazione al programma è su basi volontarie e che il programma parte soltanto quando tutti gli Stati membri mettono a disposizione della Commissione le garanzie necessarie”.
“Inoltre, l’astuta terminologia “fino a 100 miliardi” copre la possibilità di arrivare a un ammontare di risorse disponibili decisamente inferiore, poiché dipendente dalle garanzie volontariamente messe a disposizione da ciascuno degli Stati Ue e dai limiti annui di impegno contenuti nelle norme istitutive: per avere a disposizione 100 miliardi da distribuire, sono necessarie garanzie per 25 miliardi; il massimo utilizzo complessivo annuo, per tutti gli Stati richiedenti, può essere soltanto il 10% delle risorse mobilizzabili dal Fondo. Infine, non è stato chiarito che i tempi per l’attuazione del programma, date le difficoltà finanziarie di ciascun Paese membro, la richiesta unanimità nella messa a disposizione delle garanzie e le inevitabili procedure amministrative non sarebbero certamente rapidi. In sintesi, per la fase più acuta della recessione e fino alla sua conclusione, potremo avere a disposizione, nello scenario ottimale ma altamente improbabile, qualche centinaio di milioni in prestito, sui quali risparmiare qualche milione di spesa per interessi, ma dopo aver impegnato 2 o 3 miliardi in garanzie “irrevocabili, liquide e immediatamente esigibili”. Un affarone. Grazie Ms Von der Leyen! Torno a sottolineare che, se avessimo una banca centrale ordinaria, come la Fed, la BoI o la BoJ, ciascuno Stato potrebbe ottenere, subito e senza preliminare immobilizzo di garanzie, le risorse non solo necessarie, ma anche urgenti per il sostegno ai redditi delle famiglie”.
Ma Fassina non è il solo a sparare a zero sull’iniziativa. Altrettanto fa l’economista Paolo Pini dell’Università di Ferrara, che fa le stesse critiche e in più sottolinea che si tratta di una misura temporanea, ben lontana dal somigliare a quel Fondo europeo contro la disoccupazione proposto da tempo da vari paesi. Inoltre, prosegue Pini, per accedere ai fondi il paese richiedente deve sottoporsi a una “valutazione di sostenibilità”; in seguito la Commissione valuterà anche come vengono utilizzati i fondi, ed è prevista anche la possibile erogazione di penalità qualora il risultato della valutazione venisse ritenuto insoddisfacente. L’erogazione avverrebbe a tranche ( e quindi, se ne può dedurre, per importi limitati).
Un altro punto critico è messo in evidenza da Alessandro Somma, docente di Diritto comparato alla Sapienza. La base giuridica su cui viene istituito il Fondo, osserva, è l’art. 122 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), quello utilizzato per il primo “salvataggio” della Grecia; e anche quello prevede condizionalità.
Insomma, da questo Fondo potremmo ricevere pochi soldi, e già andrebbe bene se fossero equivalenti alle “garanzie liquide e immediatamente esigibili” che dovremmo fornire (perdendone così la disponibilità), e pure sottostando ad esami e condizioni. Per di più, in chissà quali tempi. Davvero un aiuto determinante…
Sembrerebbe difficile poter fare proposte peggiori, ma qualcuno c’è riuscito: è l’ineffabile governo olandese, che ha proposto un Fondo alimentato da donazioni volontarie. Invece di proporre di risolvere i problemi con la carità, gli olandesi, se vogliono rendersi utili, potrebbero smetterla di essere un paradiso fiscale per le aziende, sottraendo così gettito agli altri paesi dell’Unione. Ma già, secondo la mentalità corrente quello si può fare, basta definirlo in modo elegante: “competitività tra paesi”, richiamata pure nei Trattati europei.
Fonte: da la Repubblica 3 Aprile 2020