di Enrico Giovannini e Leonardo Becchetti
DI fronte alla drammatica emergenza del Coronavirus il nostro Paese, come quasi sempre accade in momenti estremi, sta dando prova di civiltà e di grande solidarietà. Molte ragazze e ragazzi si sono fermati per tutelare la salute dei più anziani, il cui rischio di mortalità per il virus è molto più elevato. I canti e le bandiere sui balconi testimoniano che in momenti terribili scopriamo di avere energie e risorse inaspettate. Il personale sanitario nelle regioni più colpite, Lombardia in testa ha dato prova di piena disponibilità, spesso di eroismo.
Ma non solo loro: i lavoratori nelle fabbriche, gli insegnanti che con gli strumenti che la tecnologia ci offre continuano a tenere vivo il rapporto con i propri studenti. Sono prove generali di cambiamento e di un’umanità migliore.
Ma in questi giorni in cui ci domandiamo quando la quarantena potrà finire è necessario capire come organizzare la “fase di transizione” al fine di produrre la migliore exit strategy, mettendo le basi di una vera ripartenza del nostro Paese. Come contributo al dibattito di questi giorni e ai dilemmi della politica ci permettiamo, da non addetti ai lavori di questioni mediche, di mettere in campo un’ipotesi.
I dati comparati a livello internazionale sulla diffusione dell’epidemia, a partire dal primo giorno della crisi, ci segnalano il caso interessante della Corea del Sud, dove la curva del contagio è rapidamente declinata e il numero dei decessi crollato. Il Paese è passato dai 909 nuovi contagi del 29 febbraio ai 74 del 16 marzo.
Pur al netto delle differenze demografiche, sanitarie e sociali, rispetto al caso italiano, va notato come la Corea del Sud sia stata in grado di ottenere questi risultati grazie a una strategia composita: da una parte una stretta politica di distanziamento sociale, analoga a quella che si sta adottando in Italia; dall’altra, un uso estensivo dei testi anche su soggetti asintomatici e il ricorso alle più avanzate tecnologie disponibili (big data, geolocalizzazione, Intelligenza artificiale e Blockchain) per tracciare gli spostamenti dei soggetti positivi e le possibili occasioni di contagio.
Operativamente, sono stati condotti test a tappeto con visite a casa e test agli automobilisti, con una metodologia che restituisce il risultato in un tempo brevissimo. Infine, è stata messa a disposizione dei cittadini un’applicazione (Corona100) che consente di localizzare le zone dove si trovano i positivi e i loro contatti con raccolta dati, analisi immediata e tracciatura.
La ratio di questa strategia ha una logica stringente sulla quale ha iniziato ad insistere anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità. che, in un tweet di ieri (“test, test, test”), ha sottolineato l’importanza di un uso massiccio dei test sul maggior numero di cittadini.
Il dato mancante sul Coronavirus è quello sul numero di pazienti asintomatici che si stima essere molto elevato. Uno studio appena pubblicato sulla rivista Science (R. Li et al., Science 10.1126/science.abb3221, 2020), stima che l’86% dei casi è asintomatico e non rilevato, e che il contagio da asintomatici è causa del 79% dei casi accertati.
Siamo convinti che la mappatura dei positivi, anche quelli asintomatici, sia indispensabile non solo per un’efficace politica di contenimento del contagio, ma anche per la fase successiva di “ripartenza”. Nonostante la consapevolezza che sono possibili falsi negativi l’approccio usato in Corea del Sud ridurrebbe in misura importante la circolazione degli asintomatici. Non avere una mappatura precisa potrebbe voler dire, infatti, rimettere in circolo diffusori del virus e rischiare di tornare al punto di partenza.
La strategia è stata applicata in piccolissima scala anche nel nostro paese a Vò. Gli studi dell’applicazione sono sorprendenti. Come ha sottolineato in una lettera alla regione Toscana l’immunologo Sergio Romagnani il numero dei positivi asintomatici era elevatissimo, quello dei soggetti infettati è crollato e, sorprendentemente, l’isolamento degli asintomatici sembra aver protetto anche loro dall’evoluzione grave della malattia.
La tecnologia può quindi essere decisiva per migliorare la raccolta e l’analisi dei dati, al fine di programmare gli interventi, anche di tipo emergenziale. E l’Italia dispone di competenze in grado di realizzare rapidamente soluzioni adeguate. Un varco legislativo importante per realizzare questo progetto vien dall’art 76 del Decreto Coronavirus del governo che istituisce una commissione di esperti di processi tecnologici che potrebbero lavorare anche a questo oltre che alla digitalizzazione della PA. Un approccio analogo a quello della Corea del Sud pone, ovviamente, il problema della privacy.
Ma nelle circostanze del tutto particolari che già impongono limiti severi alla nostra libertà di circolazione finalizzati alla tutela della salute pubblica e di un più generale “bene comune”, possiamo immaginare come la normativa possa essere adeguata così da consentire di realizzare l’azione proposta a scala nazionale da parte di un’istituzione pubblica in collaborazione con chi ha già sviluppato soluzioni tecnologiche e possiede analitiche all’avanguardia.
Andrà poi verificata la possibilità di estendere a livello europeo lo stesso approccio. La decisione di “chiudere” i confini dell’Unione europea e riaprire quelli interni (vedremo se funzionerà in pratica) impone, infatti, un approccio comune al monitoraggio dei flussi tra Paesi.
Gli italiani danno il meglio di sé nei momenti difficili e circostanze eccezionali richiedono sforzi eccezionali. Per superare questa crisi “virale” occorre però incrociare gli antichi valori della solidarietà e della fraternità con le più moderne tecnologie oggi disponibili, nell’ottica di creare una società più resiliente. In palio non c’è solo la possibilità di una rapida “ripartenza” ma quella più generale di consentire al nostro Paese un salto di qualità nella costruzione di un futuro comune oltre l’emergenza.
Leonardo Becchetti (economista Università Tor Vergata)
Enrico Giovannini (economista, ex presidente Istat, ex ministro del Lavoro)
Mauro Magatti (sociologo ed economista Università Cattolica Milano)
Alessandro Rosina (demografo Università Cattolica Milano)
Vittorio Pelligra (economista Università Cagliari)
Paolo Venturi (direttore AICCON, Centro studi Università Bologna)