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Ue con nuovi assetti istituzionali per non soccombere al rigore

di Mario Baldassarri

Con la manovra “forte e strutturale” proposta nel mio articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 23 agosto, l’Italia uscirebbe dalla crisi e darebbe solido equilibrio ai propri conti pubblici. Ecco allora che avrebbe anche pieno titolo per partecipare da protagonista all’agenda per la nuova legislatura europea, non limitandosi a indicare un nome italiano per il pur importante ruolo di commissario europeo. A fronte dell’ineluttabile e ormai consolidato processo di globalizzazione, nell’Unione europea si è riaperto il dibattito fra “allargamento” e “approfondimento” (Widening and Deepening).

Era evidente che, per partecipare da protagonista nella globalizzazione, l’Unione doveva diventare più “grande” in termini di popolazione, mercato e Pil e “più profonda”, cioè “più forte”, in termini di assetto istituzionale e di rappresentanza politica. Fino al 1995 l’Unione europea aveva 12 membri, oggi è partecipata da 28 Stati. L’allargamento è quindi avvenuto. Sull’approfondimento però i passi sono stati piccoli e lenti. Ancora oggi dobbiamo completare l’Unione bancaria e siamo ben lontani da un bilancio federale europeo, rimanendo con un bilancio “intergovernativo” che gestisce appena l’1% del Pil.

Ecco perché l’agenda europea per la prossima legislatura deve essere “costituente”. Su almeno cinque grandi temi: difesa, sicurezza e immigrazione, politica estera, grandi infrastrutture, nuove tecnologie, ricerca e alta formazione di capitale umano, i singoli Stati europei hanno perso per sempre la loro sovranità nazionale. Sfido qualunque “nazional-sovranista” a dare risposte serie ai cittadini del proprio Stato agendo da soli. Questa sovranità decisionale possiamo riprendercela solo a livello di federazione europea.

La costruzione di una Europa federale non è quindi una scelta, è una necessità se si vuole sul serio recuperare “sovranità” interna e partecipare al governo della globalizzazione con le altre grandi aree economiche e politiche del mondo. Per questo è urgente dare alla Bce e al Trattato di Maastricht “due occhi” ciascuno: due ciechi di un occhio non fanno infatti una persona sana. 1. Lo Statuto della Bce deve tenere conto, insieme al controllo dell’inflazione, anche dell’andamento della crescita economica e attribuire alla Banca centrale il ruolo di prestatore di ultima istanza. 2. Maastricht deve diventare “più rigoroso e meno stupido”. Occorre cioè che il 3% di deficit sia destinato solo a investimenti.

Si tratta cioè di introdurre l’obiettivo dell’avanzo di parte corrente (che si chiama risparmio pubblico) e per ogni 1% di avanzo corrente (autofinanziamento) consentire 2-3% in più di investimenti pubblici. Una golden rule più rigorosa di quella proposta 60 anni fa da Robert Solow. Si tratta cioè di fare nel bilancio pubblico ciò che fanno da sempre le famiglie quando comprano una casa, anticipando un 30% e facendo un mutuo per il 70%, oppure le imprese quando usano i loro profitti per finanziare almeno il 30-40% dei loro investimenti, trovando il resto a prestito sul mercato.

Sapendo entrambi che nessuna banca concederebbe un mutuo alla famiglia per andare in vacanza o all’impresa per pagare stipendi. Su questo occorre costruire una Europa a cerchi concentrici che veda al centro gli Stati federati d’Europa con un loro bilancio e cinque ministri per i cinque temi che servono a riprendersi la sovranità in modo collettivo europeo. Poi c’è il cerchio dell’Unione europea con il mercato unico e la libera circolazione di merci e persone. Infine deve esserci il cerchio largo dell’Eaftd (Europe-Africa free trade and development area), l’area di libero scambio e cooperazione allo sviluppo tra Europa e Africa.

Tutto questo implica un patto istituzionale sul ruolo del Parlamento, della Commissione, su chi li vota, su chi viene eletto etc. Ma soprattutto implica affiancare, alla gamba della Banca centrale europea, quella di un bilancio federale europeo. Come proposto nel recente “Rapporto sull’Europa” del Movimento europeo Italia e dal Centro studi Economia reale, si potrebbe partire da un piccolo passo in avanti verso l’integrazione ipotizzando un “bilancio aggiuntivo di tipo federale” pari a circa l’1% del Pil dell’area euro (120 miliardi di euro all’anno) indicando sia la provenienza delle entrate sia
la destinazione delle spese. Si tratterebbe pertanto di un bilancio aggiuntivo in pareggio senza alcun processo di indebitamento a livello sovranazionale europeo. Gli effetti sarebbero una maggiore crescita che, in quattro anni, sarebbe pari al +2,4% nell’Eurozona e al +2% nel totale dell’Unione, con effetti positivi anche sui Paesi non membri dell’euro.

Questo “gioco a somma positiva per tutti” sarebbe virtuoso anche sul fronte della finanza pubblica. Il deficit pubblico in rapporto al Pil andrebbe a zero, sempre in quattro anni, per tutta l’area, con effetti di riduzione del deficit o di aumento dell’avanzo in tutti i Paesi membri. Il debito pubblico si ridurrebbe del 4,5% del Pil dell’Eurozona e questa riduzione si produrrebbe in tutti i Paesi, con in testa l’Italia. In sintesi, senza questi nuovi e urgenti assetti “politico-istituzionali”, l’Europa rischia di “implodere” nella garrota di un rigore senza speranza e di una protesta nazional-sovranista e, senza una nuova governance, l’economia mondiale rischia di “esplodere” in un nuova grande crisi globale.

Fonte: da IL SOLE 24ORE del 27 agosto 2019

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