di Paolo Savona
Caro direttore,
il suo quotidiano solleva con la giusta insistenza la necessità di avere un governo dotato di pieni poteri perché in questi giorni si va decidendo la riforma dell’Unione Europea, argomento che pare non rientrare tra i problemi che assillano i protagonisti della trattativa politica in corso. Sempre il suo quotidiano ha fornito una chiara informazione sulle proposte dei due partiti che hanno i numeri in Parlamento affinché un eventuale loro Governo non abbia solo i pieni poteri necessari, ma anche come li eserciterà.
La conclusione è che i loro programmi non si conciliano con i patti europei vigenti, ancor meno con la riforma europea di cui si parla, sui quali sarebbe opportuno dare contezza agli elettori. Di fronte all’impossibilità “d’avere i numeri” perché si formi una coalizione di governo diversa, aleggia la possibilità che, per evitare una probabile crisi, il Paese sarà posto di fronte al dilemma di sottostare alla volontà europea di un’ulteriore perdita della sovranità fiscale in cambio di un’assistenza finanziaria (Grecia docet) che comporterà una tassazione massiccia e tagli salariali “per rientrare nei parametri di bilancio pubblico”.
Il risultato sarebbe una nuova caduta del PIL e dell’occupazione e il problema politico si tramuterebbe in uno di stabilità sociale, come già i risultati elettorali indicano stia accadendo.
La soluzione non può se non essere quella che il Presidente Mattarella non accetti un Governo che ponga il Paese in questa condizione, anche perché non rifletterebbe la volontà degli elettori, rinvii alle Camere il Governo Gentiloni e indica nuove elezioni inviando allo stesso tempo un messaggio al Parlamento in cui chieda chiarezza sulla collocazione dell’Italia nell’Unione Europea.
Le proposte di approvare un reddito di cittadinanza (o come lo si chiami), di eliminare la legge Fornero e di attuare altre costose promesse vanno collocate realisticamente in questa scelta. È ciò che ho chiamato Piano A per restare in Europa. Se invece si seguono disegni velleitari, i partiti facciano sapere quale sia il loro Piano B per uscire dall’Europa. Speriamo che politici ed economisti sappiano valutare questa volta le conseguenze dell’una o dell’altra scelta sul piano pratico. Il quesito è: vogliamo o no affrontare questo problema centrale per il futuro del Paese o continuiamo a girarci attorno nella speranza che i problemi si risolvano da soli e le soluzioni continuino a non essere scelte democraticamente come da troppi decenni accade?
La ringrazio per l’ospitalità.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 24 aprile 2018